Eccoci nuovamente qua, dopo una lunga pausa inframmezzata dalle vacanze natalizie…
E mi fa piacere riaprire il nostro blog col primo post del nuovo anno dedicato a un giovane scrittore e alla sua opera prima.
Sabato pomeriggio, infatti, abbiamo assistito (purtroppo in pochi…) al reading di Placido di Stefano, per gli amici Dino, durante il quale ha presentato alcuni brani salienti della sua opera prima “Amami-Love Me Two Times” (edito da PeQuod e rintracciabile anche in Feltrinelli).
La lettura è stata accompagnata da alcuni pezzi suonati da Augusto al basso e Mejo alla chitarra (non sono sicura si scriva così, mi si perdoni l’eventuale errore ortografico… ;-))
La particolarità di questo evento è rappresentata innanzitutto dalla qualità dell’evento stesso.
Dino non legge il proprio romanzo, bensì lo interpreta con coinvolgenti capacità recitative che rivelano la militanza nella scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e soprattutto l’amore profondo e spontaneo per la recitazione.
Così facendo, permette all’ascoltatore di lasciarsi trasportare all’interno del racconto, di carpire alcuni tratti del protagonista e della sua storia, e lascia sapientemente in sospeso alcune domande che costringono l’ascoltatore a soddisfare la propria curiosità solo attraverso la voglia di leggerlo.
Dino rivela contemporaneamente doti di scrittore, cantante e attore, mostrandosi come artista poliedrico e completo, e la storia con la quale si affaccia per la prima volta al grande pubblico è scabrosa, cupa, ossessiva, inquietante, tenebrosa. Come i nostri tempi e la nostra società.
Molti degli elementi narrativi che emergono da Amami fanno ormai parte integrante del tessuto e dello scheletro di numerosi romanzi sia recenti che facenti parte di uno storico letterario al quale nessun lettore contemporaneo può sottrarsi.
Non per niente, tra i suoi ispiratori, Dino annovera Bukowski, Céline, i massimi esponenti della beat generation e non meno è possibile ritrovare tra le fila del suo racconto le forti influenze di Kafka e Dostoevskij.
Fin qui tutto bene. Si potrebbe pensare a un ennesimo Cugia, un Culicchia o un Palaniuck nostrano.
Il tema del doppio, dell’infanzia violata, dell’incapacità di amare sé stessi e il prossimo e contemporaneamente lo spasmodico bisogno di amore, la ricerca del tanto famigerato lato oscuro, la necessità di sporcare, macchiare, buttarsi nel fango, scavare nella spazzatura ed entrare nel proprio buco nero… perché, questo è certo, le tenebre hanno sempre affascinato più della luce, per quanto tutti si tenda alla sua disperata ricerca. Il buio fa crescere, seppur squarciando e spaccando l’anima, costringendola a ritorcersi su sé stessa e a guardare in faccia la propria bestia nel cuore.
La particolarità di questo romanzo, però, è in realtà secondo me proprio il contrasto tra l’elemento narrativo e il suo stesso interprete.
Leggendolo, infatti, ci si aspetterebbe di avere di fronte il solito bello/brutto e dannato, l’emule di Bukowski con la bottiglia di wisky nella sinistra e il pacchetto di sigarette nella destra. In realtà, questa aspettativa viene in buona parte delusa.
Perché Dino è fondamentalmente un gaudente, una persona che ama sperimentare ogni aspetto della vita, anche quelli a tinte fosche, perché in fondo non ha paura di mettersi in gioco e rischiare.
Desiderare di diventare uno scrittore come il suo stesso protagonista-alter ego, un vero scrittore, uno che scrivendo ci campa, per intenderci, oggi più che mai è follia, mancanza di senso pratico, totale astrattismo da un mondo reale commerciale e consumista.
Pertanto, chi desidera più di ogni altra cosa scrivere e vivere scrivendo è decisamente un pazzo, a meno di avere le spalle coperte da qualche amicizia/parentela/liason con qualche casa editrice o, meglio ancora, il conto in banca che non si tinge mai di rosso…..
Dino, invece, da buon visionario felliniano, ci prova, ci crede con tutto sé stesso e in realtà rivela l’animo naive e fanciullo di chi alla fine crede con tale caparbietà e convinzione di riuscire a toccare la luna con un dito… che prima o poi ce la farà.
Più che un eroe di Fante o Keruac, mi ricorda un John Belushi o un Don Chisciotte moderno. Potrebbe essere il protagonista ideale de "Una banda di idioti" di John Kennedy Toole (che guarda caso sto leggendo proprio in questo periodo). Con uno stile e una passione genuini e di fortissimo impatto.
Questo connubio di personale e originale istrionismo che si realizza artisticamente in uno stile letterario cupo, scarno e scabroso è il punto forte di Dino.
Lo spettacolo, perciò, soddisfa e conquista, anche grazie all’accompagnamento complice e attento dei suoi due amici musicisti, che rappresentano molto di più di una semplice spalla.
E poi c’è lei, la vera protagonista, la macchina da scrivere, strumento, supporto, confidente e amica di qualunque scrittore. Alla quale Dino regala, giustamente, il ruolo di primadonna non soltanto nella sua rappresentazione ma in tutta la sua opera.
Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette.
Dino le spalle le ha larghe, di chi a 38 anni di vita ne ha già vissuta abbastanza o forse… ancora troppo poca, per le proprie aspettative.
Ma le scarpette per correre ce le ha eccome.
Dentro agli anfibi.
P.S. cercheremo di organizzare un’altra presentazione ad Avigliana in primavera, in un locale sul lago piccolo che ben si presta a questo genere di eventi, e Dino ha ancora in cantiere una serie di date per la sua presentazione (tra queste… spero presto anche a Legnano, al caffè dei viaggiatori), perciò consiglio vivamente a tutti di partecipare e soprattutto… di leggere “Amami”!!
martedì 15 gennaio 2008
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