La teoria dei famosi 6 gradi di separazione afferma che una persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di 5 intermediari.
E’ a questa immagine che ho pensato per scrivere questo post.
Perché se in Tibet (e prima ancora in Birmania) un popolo, non soltanto di monaci e fedeli, viene da anni ripetutamente vessato, represso (sia legalmente che con l’uso giustificato della forza militare), soggiogato da un governo solo a parole democratico, in Italia vengono chiusi ben 3 conventi francescani, senza un’apparente motivazione logica e plausibile (se non quella, ufficiale, della mancanza di fedeli e di soldi…. sarà??).
E’ un parallelismo forte, forse eccessivo, ma parte da un identico, annoso presupposto.
E’ accettabile che un governo, già repressivo in casa propria, possa esercitare, col beneplacito internazionale, il proprio potere anche su, di fatto, una regione autonoma controllata militarmente? E cosa ancor più grave, reprima una protesta non violenta di una miriade di fedeli che semplicemente chiedono di essere riconosciuti come entità a sé stante, evitando che una cultura millenaria venga cancellata dalla massificazione perpetrata dal governo centrale cinese?
Esistono molte regioni autonome, stati satellite che nel corso della storia hanno cercato l’indipendenza e hanno subito violente repressioni, ma qua stiamo parlando soprattutto di una protesta portata avanti da monaci, uomini di fede. Che non usano armi se non la parola e il proprio corpo come scudo di fronte agli assalti delle armate.
Indossano tuniche dai colori caldi e solari, e in Italia, fratelli a loro simili per ispirazione spirituale e di vita, indossano semplici tuniche di canapa o iuta, e vedono chiudersi i propri conventi a seguito di decisioni a loro superiori di natura più o meno politico-economica.
Una nuova diaspora per i fratelli di S. Francesco e per i fedeli che potevano riscoprire in quei luoghi e a contatto con quei missionari, i più puri valori di fede cristiana e un’apertura di cuore e mentale che a fatica si ritrova in altri luoghi religiosi.
Tralasciando la profonda amarezza di molti padri spirituali (e tra questi.. colui che ci ha unito in matrimonio) che hanno dedicato la propria vita alla trasmissione del messaggio di S. Francesco, e ai molti fedeli delusi, abbandonati, addolorati, mi chiedo…. Con che diritto ci si lamenta poi della crisi delle vocazioni? Del sempre minor numero di fedeli che si convertono? Se poi è la Chiesa stessa a tagliare quelli che considera rami secchi che invece hanno molti più germogli di tanti alberi apparentemente rigogliosi….
In entrambi i casi, seppur con modalità diverse, si tratta di un attacco alla libertà. Nello specifico, alla libertà di fede.
A sostegno della causa tibetana, oltre alle molte azioni e proteste pacifiste (tra tutte, ricordo la petizione sul sito di AVAAZ http://www.avaaz.org/en/tibet_end_the_violence/), diversi stati stanno mettendo in atto il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino di quest’estate.
“History will teach us nothing”, cantava Sting. E la storia si ripete. Come a Monaco nel ’72, a Montreal nel ’76, a Mosca nell’80 e a Los Angeles nell’84.
In Italia non si sa ancora con che modalità si affronterà e si supererà la decisione di chiusura dei 3 conventi francescani di Sabaudia, Susa e San Marco a Roma.
Quo usque tandem abutere patientia nostra?
mercoledì 2 aprile 2008
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