Per apprezzare almeno per una sera la follia di questo posto in cui rivivono finzioni di Roma, Parigi, New York o Venezia bisogna lasciare nel cassetto i propri metri di giudizio estetico o morale, non farlo significherebbe arrivare ad odiarlo nel giro di cinque minuti. Eppure le contraddizioni di quest’America in cui una cosa ed il suo opposto sembrano eternamente separati come i liquori in certi cocktail sono anche qui, nel regno del business e delle slot machines.
E così si viene a scoprire che il Venetian con i proventi derivanti dal suo cocktail di gioco d’azzardo e porno-soft finanzia l’Ermitage di San Pietroburgo, per esempio. Oppure che lo Strip la notte non è solcato da fotomodelle e rapper (Tupac Shakur venne assassinato proprio qui nel 96) ma da famiglie americane di ceto medio basso, con tanto di passeggini e bambini obesi.
E così in 24 ore – diciamo 48 per i più tenaci – anche questa follia del genere umano viene a noia, il giocattolo si rompe e rimane solo lo squallore, che ci porta a esplorare altri generi di bellezze.
Come il tramonto su Zabriskie Point o ad Arches, il deserto di San Rafael e quello del Mohave.
E come d’incanto ci si sente contemporaneamente Thelma e pure Louise, al Bagdad Cafè e On The Road tutti insieme sotto un cielo che è enorme come ogni cosa in questo paese.
E si arriva a pensare che la famosa frase “bigger is better” i pionieri l’hanno pensata proprio guardando questo cielo.
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