venerdì 26 dicembre 2008
Strade
Ho trovato questa bella citazione di Coelho su un sito amico, e la posto quale ultimo post dell'anno. Forse un po' buonista, ma profondamente vera. Buon Anno Nuovo.
Quando si viaggia si sperimenta in maniera molto più concreta l’atto della Rinascita. Ci si trova dinanzi a situazioni del tutto nuove, il giorno trascorre più lentamente e, nella maggior parte dei casi, non si comprende la lingua che parlano gli altri. E’ proprio quello che accade a un bambino appena nato dal ventre materno. Con ciò si è costretti a dare molta più importanza alle cose che ti circondano, perchè da esse dipende la sopravvivenza. Si comincia a essere più accessibili agli altri, perchè gli altri ti possono aiutare nelle situazioni difficili. E si accoglie qualsiasi piccolo favore degli dei con grande gioia, come se si trattasse di un episodio da ricordare per il resto della vita. Nello stesso tempo, poiché tutte le cose risultano nuove, se ne scorge solo la bellezza, e ci si sente più felici di essere vivi.
domenica 14 dicembre 2008
SwissLand
Lo scorso ponte dell'Immacolata ci siamo concessi un piccolo giro della Svizzera adiacente il lago di Lemano. In sostanza: Ginevra e Losanna.
Il tempo non è stato dei migliori (ha piovuto quasi tutto il tempo, tranne domenica che ci ha regalato una giornata di sole assolutamente magnifica!), sarà forse stato anche per questo che Ginevra non ci ha impressionato più di tanto, anzi. Tipica business city, piena di sedi di prestigiose aziende, sia commerciali che umanitarie (vedi Nazioni Unite, Croce Rossa, etc.), negozi di grandi firme, traffico congestionato (e gestito malissimo!!), accoglienza fredda e distaccata, quella che ci si aspetta da una città che vive solo di soldi e affari (che siano economici o diplomatici..).
Losanna, invece, ci ha accolto in modo molto più caloroso e vivace (merito anche di Giusy che ci ha fatto da perfetto Cicerone e ci ha mostrato gli aspetti e gli scorci più belli della città). Appena arrivati, costeggiando il lago a stretto confine col versante francese, ci si accorge di entrare in un mondo molto diverso: agli uomini in doppiopetto si sostituiscono i giovani studenti universitari (Losanna, tra gli altri, è sede dell'EPFL http://www.epfl.ch/index.en.html, prestigiosa università scientifica, una di quelle in cui fuggono i nostri cervelli, tanto per capire, senza neanche andare troppo lontano...), alle signore impellicciate, giovani di ogni età e razza che di giorno amano girare per centri culturali e musei e la sera divertirsi nell'entertainment center recentemente costruito in rue de Genève, pieno zeppo di locali e disco per soddisfare tutti i gusti (anche, ovviamente, quelli più trasgressivi..).
Losanna è anche famosa per esser la sede delle più importanti federazioni sportive, Comitato Olimpico Internazionale compreso. E infatti.. approfittando della splendida giornata di sole e cielo azzurro, domenica abbiamo fatto un salto sia alla sua sede che al Museo Olimpico. Un piccolo tributo alla mia passione mai nascosta.. ;-)). Altra particolarità della città è il fatto di esser costruita su 3 livelli, rendendola un po' la San Francisco svizzera (e che regala al turista pedone l' opportunità di smaltire gli ottimi dolci e la prelibata fonduta, tipici prodotti locali.. ;-) Prima di rientrare in Italia, Giusy ci ha portato ad assaggiare ottime crèpes alla Crèperie "La Chandeleur", in Mercerie 9, delizioso locale tutto pizzi, merletti e tavolini di legno, e la "vera" fonduta di Losanna allo Chalet Suisse, www.chaletsuisse.ch. Esperienza unica (e abbondante!!) in questo originale chalet svizzero con magnifica vista sul lago e bosco alle spalle. Ottima anche la meringa. E se avete tempo e voglia, potete concludere il vostro giro turistico finendo la circumnavigazione del lago passando per Montreaux, famosa per i suoi mercatini di Natale (meglio però non attraversarla durante i weekend, o perdereste, come noi, più o meno un'ora fermi in coda...). E in attesa di trascorrere il prossimo capodanno nella magica Istanbul.... Buon Natale a tutti!
mercoledì 5 novembre 2008
The wind of change
Aggiungo solo qualche pensiero a quanto l'altra mia metà ha già scritto.
Non può piovere per sempre, diceva il Corvo, e ci credo. Profondamente.
Per quanto lungo possa essere un tempo oscuro e pesante, non può durare eternamente.
Ecco perchè quando avviene il cambiamento, l'entusiasmo e la gioia che si generano spontaneamente sono ancora più incontenibili. Perchè lo si è aspettato da tanto.
Barak Obama ha non uno ma tantissimi pesi sulle sue giovani spalle. E un enorme impegno che si è preso non solo nei confronti del popolo americano, ma del mondo intero. In questo momento, infatti, lui incarna il cambiamento, appunto, e in nessun'altro paese del mondo è arrivato altrettanto Messia. Lui è il primo, grosso segnale che qualcosa in questo mondo doveva cambiare, per evitare di portarci verso un baratro di rassegnazione e autodistruzione.
Ha un compito immane: cambiare rotta, indicare nuovi obiettivi, aprire nuove strade.
E' un impegno enorme per un solo uomo, e tutto l'entusiasmo che lo ha sostenuto, lo ha accompagnato e lo seguirà nei prossimi tempi non può comunque essere abbastanza.
Non tocca solamente a lui cambiare, dobbiamo farlo anche noi. Soprattutto noi.
Non possiamo lasciare tale responsabilità nelle mani di un sol uomo, per quanto coraggioso. Ognuno di noi deve prendersi la propria pala in mano, e cominciare a ripulire il mondo da tutte le schifezze che abbiamo contribuito a buttarvi. Con la nostra mancanza di fiducia, col nostro assenteismo, con la nostra pigrizia, con la facilità a delegare ad altri decisioni e impegni. Salvo poi recriminare, contestare, attaccare senza mai cercare di affrontare, ciascuno, la propria parte di responsabilità.
La vittoria di Barak Obama, parallelismi con Kennedy e Martin Luther King a parte, è sicuramente un grosso segnale. Ma tocca a noi, a ciascuno di noi, fare sì che questo segnale non sia un semplice lampo di luce nel buio della notte. Bensì il preludio ad una nuova alba, per tutti. Non solo per gli americani, per tutti.
Occorre riconoscere Barak Obama in ciascuno di noi, ritrovare la fiducia nei propri ideali, nella possibilità di un mondo migliore, e, soprattutto, nella solidarietà e nella condivisione.
Barak non ha vinto da solo, è stato sorretto dalla forza e dalla volontà di tutti i suoi elettori, della sua famiglia e di chi ha creduto in lui. Ma lui rappresenta ciò che noi siamo: uomini NORMALI, che grazie alla fiducia e alla volontà possono cambiare il mondo.
Questo è l'insegnamento più grande di questa vittoria. Un uomo normale che diventa presidente del paese più importante del mondo. L'uomo dell'anno, appunto.
Non voglio credere che Barak abbia vinto solo perchè si sia semplicemente realizzato nella vita reale il copione di un film (l'Uomo dell'Anno, appunto, con Robin Williams).
Voglio credere che abbia vinto per ricordare a ciascuno di noi che abbiamo il potere di fare, di realizzare, di creare. Non soltanto di distruggere.
Ma dobbiamo tornare ad esserne consapevoli e soprattutto... dobbiamo tornare ad usarlo e non lasciarlo a libero appannaggio del presidente del consiglio o del ministro di turno.
Aprire la mente e il cuore significa prima di tutto aprire gli occhi. Torniamo a riflettere, ad ascoltare, a scrutare l'orizzonte, torniamo a vivere.
"Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza."
L'esser davvero consapevoli di questa realtà, è il primo, vero segnale di cambiamento.
Sign of the time
Anche se la storia se ne frega di quello che scrivo io. Ma non importa.
Barak Obama è proclamato presidente da soltanto poche ore, eppure fiumi di inchiostro sono già stati scritti. Hanno tirato in ballo Martin Luther King, Kennedy, la grande democrazia americana, hanno scritto "he has a dream", "strano ma nero" e molto altro.
E tutto questo entusiasmo non si puo' spiegare in altro modo se non con l'enorme importanza che la politica USA riveste nelle vite degli americani, ma anche di tutti gli altri.
E non è tutto qui, c'è anche il risultato liberatorio di un decennio oscuro e oscurantista.
Un decennio che ha sdoganato ad eccellenza del pensiero la tracotanza e la ragione presa con i carri armati. L'arroganza tronfia che non ratifica il protocollo di Kyoto e alimenta l'odio fra i popoli. Il mercato elevato oltre la divinità, perchè almeno in chiesa si è liberi di non entrare, dal mercato non hanno lasciato fuori nemmeno gli aborigeni. E guai a contraddirlo.
E così ci hanno regalato frottole sull'Iraq, mutui sub-prime, finanza creativa, smantellamento dello stato sociale e molto altro.
Certo quest'uomo ha davanti una responsabilità che farebbe tremare i polsi a chiunque, ma larga parte dell'america ed anche del mondo ha dimostrato fiducia nei suoi confronti.
Anche il nostro Napolitano non è stato da meno e si è già congratulato. In tanti ci auguriamo che non rimangano solo vuote parole ma che anche questo piccolo mondicino provinciale in cui viviamo spalanchi le finestre e respiri a pieni polmoni il vento nuovo che spira.
Perchè anche qui, fra la pizza e i mandolini, siamo in tanti ad esser stufi della ricetta in salsa italiana della tracotanza di cui sopra. Siamo stufi di ex-presidenti della Repubblica che pontificano dietrologia e spranghe dai quotidiani, di Presidenti del Consiglio che non farebbero ridere nemmeno al bagaglino e di una corte di comprimari che al bagaglino non farebbero nemmeno i guardarobieri.
Pertanto con questo post, oltre a riempire l'ennesima inutile cyberpagina, voglio augurare buon lavoro anch'io al nuovo Presidente.
Perchè l'America ne ha bisogno e ne ha bisogno il mondo intero.
giovedì 9 ottobre 2008
Paura
Cito di seguito un bellissimo articolo che ho trovato sul blog di un amico dal quale c'è sempre qualcosa da imparare... lo ritengo profondamente vero, sia nell'analisi della nostra società e dei nosti animi, che nello spiraglio di luce che lascia alla fine quale via d'uscita al catrame appiccicoso nel quale ci siamo un po' tutti impantanati...
di Lisa Ginzburg
La paura era collettiva, adesso è individuale. Non più terrore condiviso di epidemie, catastrofi, guerre. Invece un tarlo insinuante e sottile vissuto in solitudine, ognuno acquattato nel grembo delle proprie nevrosi. È per esplorare le dimensioni dei nostri più profondi timori che in questi giorni a Roma si è tenuto il primo World Social Summit, organizzato dalla Fondazione Roma e dal Censis. Attraverso le voci di sociologi, filosofi, architetti, scrittori, rifugiati, magistrati, politici, psicoanalisti. Calarsi nel baratro delle “paure planetarie” e di lì immaginare strade per arginarle, dare loro un contenitore. «Governare la paura», è stato detto dal Presidente della Fondazione Roma nel discorso di apertura dei lavori, «è possibile solo se si è in grado di ascoltare l’anima». Già, ma l’anima del mondo è a tal punto opaca, indefinita, che della sua stessa illegibilità c’è di che aver paura. Tutto suona caotico, irrazionale, imprevedibile e perciò non risolvibile. Alla nostra paura e alla sua ancor più perniciosa alleata, la paura della paura, il solo vero rimedio – ha argomentato James Hillman – è l’immaginazione con le sue infinite possibilità.
La vita corre, il mondo ancora di più. Quel che ognuno di noi teme è di “perdere il treno”, il proprio posticino nella società. Come ha spiegato il sociologo Zygmunt Bauman, la sindrome più forte è quella di venire esclusi, proprio come nel “Grande Fratello”. Siamo tutti vulnerabili, esposti, prossimi all’umiliazione. La paura non è tanto quella di una catastrofe che può avventarsi sul mondo. La paura maggiore è di venire esclusi dal “gruppo”. Non si temono, come era prima, i lupi – bestie feroci sì, ma visibili e riconoscibili. Ora quel che si paventa sono i lupi travestiti da uomini, i kamikaze, portatori di morte camuffati, assassini padroni dell’imprevisto. La realtà è un mistero, gli esseri umani sono tutti potenziali nemici. Da questa condizione di insicurezza esistenziale (perché è ormai impossibile pensare la società come una rete che possa proteggerci, tutelarci), la paura diventa un business. Una gigantesca occasione di profitto, un capitale commerciale. Sulla paura si specula. La si manipola, a seconda delle opportunità che essa offre.
Le statistiche parlano chiaro. L’Italia spicca, prima vittima della manipolazione mediatica. Tra le grandi metropoli globali, Roma è quella dove il maggior numero di persone (48,4%) attribuisce all’informazione l’essere causa scatenante di panico. È anche, Roma, la città del mondo con la più alta percentuale di sistemi di autoprotezione (porte blindate, allarmi, etc.). Come dire: siamo strabici. Da un lato sappiamo bene di quali macro-meccanismi risultiamo i burattini, dall’altro i fili si tendono e scattiamo sull’attenti ad ogni allarme, falso o patinato che sia. Senza riuscire a vedere i pericoli veri, né essere lucidi abbastanza da contattare le nostre ansie interne. Un mondo talvolta estremo (come quello descritto da Roberto Saviano, anche lui ospite del Summit), dove «la dimensione di morte è necessaria a raggiungere gli obiettivi, dove parlare di paura genera paura». C’è una società “scura”, che agisce inconsapevolmente, pervasa di fragilità. Una comunità globalizzata dove tutto coesiste, generando osmosi di merci, di culture, ma anche di violenze e di criminalità organizzate. E le diverse reazioni a questo grande mescolarsi del mondo. Roma è la capitale mondiale più restìa a riconoscere le proporzioni del mutamento, con un 19,7% di spaventati dalla crescente immigrazione di contro al 4,6% di Parigi. (Proprio Roma che, lo ha sottolineato Massimiliano Fuksas, con i suoi 2 milioni di abitanti ai tempi di Augusto è stata la prima megalopoli della storia).
Vaste plaghe di pessimismo, contrazioni psicologiche, chiusure. In una parola: sfiducia. Se l’antidoto a questo stato di cose è sembrato sinora essere il rifugiarsi in sé o nel mondo parallelo del virtuale (Second Life ha 12 milioni di utenti registrati nel mondo), le cose parrebbero mature per cambiare. In nome dei grandi corsi e ricorsi della storia, tornare alla solidarietà tra umani. Condividere i nostri timori, recuperare le risorse della solidarietà.
Ricominciare a vedersi, parlarsi. Dare così le giuste proporzioni a tante delle nostre angosce. Perché – lo ha detto Edoardo Boncinelli parlando delle possibilità liberatorie offerte dalla scienza – «la paura non si può eliminare, ma si può rendere sempre più immotivata».
giovedì 11 settembre 2008
A-rieccoci...
Ma torniamo ai viaggi... Quest'anno ci siamo concessi solo una settimana di vacanza, ma per chi come noi ha bisogno di una mèta dove rilassarsi e allo stesso tempo anche visitare e "girare", consigliamo senz'altro l'isola d'Elba. Piccola abbastanza da esser comodamente visitata in lungo e in largo in una settimana, ma altrettanto ricca di cose da vedere senza annoiarsi mai...
Fine agosto regala ancora giornate splendide di colori e profumi ancora forti, sole senza nuvole, caldo abbastanza da potersi ancora rosolare e rientrare in città con un bel colorito... Ma soprattutto regala prezzi decisamente più abbordabili, che invece in luglio e agosto farebbero desistere anche gli innamorati dell'isola più intraprendenti... Abbiamo prenotato un monolocale (dove si poteva tranquillamente dormire in 4..) a Portoferraio in pieno centro, con vista (e terrazzone...) sul porto, a 500 € per tutta la settimana (ma un'amica incontrata per caso il 1° giorno di mare ci ha detto di aver trovato un delizioso bilocale in pineta fuori Portoferraio a 350 €, prenotandolo a marzo... miracoli del 1st-in...). La vita sull'isola può risultare più o meno cara a seconda delle aspettative di vacanza che ci si pone (venirci in barca, pur essendo una bellissima esperienza, può risultare infatti decisamente più caro...), devo dire che anche da questo punto di vista ci siam trovati benissimo (del resto, avevamo la COOP a 5 min. a piedi e per un paio di sere siamo pure andati a mangiare a sbafo alla festa del rugby della squadra di Portoferraio!! bella festa estiva semplice e genuina). Consigliamo cenetta romantica a Porto Azzurro possibilmente non in uno dei ristoranti tipicamente turistici che si trovano sulla piazza... Da provare il merluzzo alla livornese.
L'isola è un susseguirsi continuo di panorami e mare da sogno, che morfologicamente ricordano molto la vicinissima Corsica. La ricchezza di vegetazione regala ad ogni curva un'esplosione di profumi mediterranei accentuati dal vento e dal contatto con la natura che solo la moto può regalare... E poi, la ricchezza mineraria rende alcune zone ancor più interessanti. Di sicuro, consigliamo di fare un giro verso la Costa dei Gabbiani (solo se si dispone di adeguato mezzo di locomozione, essendo la principale strada di accesso completamente sterrata), oltre Capoliveri in direzione Remaiolo-Punta Calamita. Gran parte di questa costa è "occupata" da un villaggio vacanze organizzatissimo, pulito, al di fuori dei principali circuiti turistici. Praticamente un sogno... anche perchè la parte di costa che occupa è assolutamente selvaggia e bellissima. Si può arrivare agevolmente (a patto di metter in conto 20 min. di scarpinata sotto il sole...) alla spiaggia di Punta Calamita, e sentirsi un po' Robinson Crusoe (per quanto possibile..) in mezzo a sassi bianchi e verdi e una spiaggia nerissima e brillante (magnetite, appunto, proveniente da una vecchia miniera ancora visibile arrivando sulla spiaggia).
Altro punto panoramico molto bello si può trovare dalla parte opposta dell'isola, a Punta Polveraia, l'estremo ovest dell'isola (puoi fare ciaociao ai corsi da lì...), e consigliamo vivamente di percorrere tutta la strada che costeggia la costa occidentale perchè merita davvero... Da lì, arrivare a Fetovaia e Cavoli, forse le 2 spiagge più famose dell'isola, è un attimo.
Molto belli anche i paesini dell'interno (Poggio, Marciana, Rio nell'Elba), dove oltre al panorama mozzafiato puoi godere di frescure e silenzi lontano dalla calca della costa.
Ultimo consiglio per chi avesse voglia (e tempo..) di visitare oltre all'Elba anche qualche altra isola dell'arcipelago toscano. In totale sono 7: Elba, Capraia, Pianosa, Giglio, Giannutri, Montecristo e Gorgona. Pian piano, chissà, riusciremo a visitarle tutte, perchè ci dicono essere una più bella dell'altra.. Per il momento ci siamo limitati all'Elba e a Capraia (ci tentava anche Pianosa, ma essendo strettamente tutelata in quanto ex colonia penale vi si può accedere solo tramite viaggi organizzati).
Capraia è la classica isola vulcanica semideserta, con giusto il centro abitato di Forte S. Giorgio (dove però stanno già costruendo l'ennesimo centro superchic per ricconi all'interno del forte stesso...) e l'annesso porticciolo da visitare. Poi, per fortuna, armati di santa pazienza e piedi allenati, si può scarpinare indisturbati qua e là (tranne un settore dell'isola, anch'essa ex colonia penale e pertanto vigilata..). Ci siamo limitati ad andare alla baia dello Zurletto, ma devo dire che l'acqua cristallina e la miriade di pesci (e qualche medusa..) che vi abbiamo trovato ci ha decisamente soddisfatto..
Sarà stata solo una settimana di ferie, ma i benefici effetti fortunatamente si sono sentiti... e ora via, a sognare altri viaggi.
martedì 19 agosto 2008
Satyagraha
Ovvero: la Verità e la Non-Violenza.
Dedico questo post non tanto all'iniziativa (a parer mio, ancora un'azzeccata operazione di marketing...) quanto alla profondità del messaggio di Gandhi che qualche giorno fa è stato reso pubblico dopo esser stato recuperato dopo 61 anni (si può trovare il testo completo sul sito www.avoicomunicare.it). Di seguito, il pezzo che mi è sembrato più bello e significativo:
"Se volete dare di nuovo un messaggio all'Occidente, deve essere un messaggio di 'Amore': un messaggio di 'Verità'.
Ci deve essere una conquista. ... Voglio catturare i vostri cuori. e non voglio ricevere i vostri applausi Fate battere i vostri cuori all'unisono con le mie parole, e io credo che il mio lavoro sarà compiuto.
Voglio lasciarvi con il pensiero che l'Asia debba conquistare l'Occidente.
Poi, la domanda che mi ha fatto un mio amico ieri: 'Se credevo in un mondo unico?'.
Certo, credo in un mondo unico. Come posso fare diversamente, quando divento erede di un messaggio di amore che questi grandi, inconquistabili maestri ci hanno lasciato?
Potete esprimere questo messaggio di nuovo ora, in questa era di democrazia, nell'era del risveglio dei più poveri dei poveri, potete esprimere questo messaggio con maggiore enfasi.
Poi completerete la conquista di tutto l'Occidente, non attraverso la vendetta perché siete stati sfruttati, e nello sfruttamento voglio ovviamente includere l'Africa, e spero che quando vi reincontrarete in India la prossima volta ci sarete tutti: spero che voi, nazioni sfruttate della terra, vi incontrerete, se a quell'epoca ci saranno ancora nazioni sftuttate.
Ho forte fiducia che se unite i vostri cuori, non solo le vostre menti, e capite il segreto dei messaggi che i saggi uomini d'Oriente ci hanno lasciato, e che se veramente diventiamo, meritiamo e siamo degni di questo grande messaggio, allora capirete facilmente che la conquista dell'Occidente sarà stata completata e che questa conquista sarà amata anche dall'Occidente stesso.
L'Occidente di oggi desidera la saggezza.
L'Occidente dì oggi è disperato per la proliferazione della bomba atomica, perché significa una completa distruzione, non solo dell'Occidente, ma la distruzione del mondo, come se la profezia della Bibbia si avverasse e ci fosse un vero e proprio diluvio universale.
Voglia il cielo che non ci sia quel diluvio, e non a causa degli errori degli umani contro sé stessi.
Sta a voi consegnare il messaggio al mondo, non solo all'Asia, e liberare il mondo dalla malvagità, da quel peccato.
Questa è la preziosa eredità che i vostri maestri, i miei maestri, ci hanno lasciato."
M. K. Gandhi
martedì 5 agosto 2008
Estate
E' il ponte di Ferragosto, decidiamo di andarci a fare 3 gg a zonzo in cerca di sole (dopo tanta pioggia...), meta: Provenza. O meglio: Marsiglia e Aix-en-Provence. Peccato che invece del sole incontramo a Briançon una vera e propria grandinata!! Meno male che il marito montagnino ha pensato bene di insistere anche con me sulla giacca da moto pesante con imbottitura con relativi pantaloni e stivali...
A parte le quasi 9 ore per arrivare (di cui 2 chiusi nel McDonald's di Briançon in attesa che spiovesse...), Marsiglia non ci ha particolarmente colpito: tipico porto multietnico (e un po' sporco...), come tanti se ne incontrano in giro per il mondo. Da consigliare, però, per la colazione Le Pain & Co. nella Place aux Huiles, in pieno Vieux Port. Colazione abbondantissima e deliziosa, con tante confetture fatte in casa. Come pure la pizzeria Chez Jeannot, nella rue di Vallon des Auffres, piccolo porticciolo con le case arroccate l'una sull'altra in una girandola di colori e profumi. Il ristorantino non è niente di che, ma provate le moules à la cocotte (possibilmente senza ustionarvi come la sottoscritta....), fantastiche....
Ciò che ci ha davvero entusiasmato, invece, è la famosa "route des crètes", 16 km di tortuosa strada che collegano Cassis con La Ciotat. Si possono ammirare les Calanques nell'unica parte accessibile via ruote (tutto il resto del parco naturale può essere ammirato ma solo a piedi e solo in alcune parti dell'anno). Per un attimo, sembra di essere in Corsica...
Aix-en-Provence è l'ennesimo gioiellino urbanistico francese, volutamente rimasto quasi intatto rispetto ai quadri di Cézanne che ne ha fatto spesso oggetto dei suoi capolavori. Molto carino il mercato di place des Precheurs e il cours Mirabeau che tanto ricorda i viali di Parigi (ma anche un po' le Ramblas di Barcellona...).
E adesso via, a preparare le valige e chiudere gli ultimi lavori prima di dedicarci una settimana all'insegna del relax e del riposo...
martedì 1 luglio 2008
Su la testa
Una vita, un viaggio intero che ho percorso senza la sua presenza fisica. Ma sapendo sempre di averlo accanto in ogni istante.
Ieri non ho accettato un compromesso di lavoro. Ho rifiutato una proroga al mio contratto, di 6 mesi scadenti ieri appunto, di soli altri 4 mesi. Dopo che neanche un mese fa mi era stato prospettato un futuro professionale completamente diverso e di sicuro.. più continuativo.
Le motivazioni vere, ovviamente, non verranno mai fuori, ma maldicenze, sotterfugi, pettegolezzi e chissà quant'altro, hanno inquinato e inficiato la qualità del mio lavoro là dentro.
Ho deciso che per la prima volta nella mia vita era arrivato il momento di dire basta, di alzare la testa e non accettare. Certo, rispetto al passato, questa volta me lo sono potuta permettere. Ma comunque per me è stato un salto nel buio. Un AFFIDARSI alla vita e al proprio destino. Qualcosa arriverà.
Ma ieri sera, ripensandoci a fondo, ho capito che ancora una volta ci stava dietro papà, anche a questa decisione.
Come l'anno scorso quando, poco prima di partire per il nostro viaggio di nozze negli States, mia mamma arriva con una busta di dollari. Erano i dollari che 16 anni prima mio padre aveva preso per un viaggio di lavoro che avrebbe dovuto fare in qualità di nuovo responsabile di un centro per disabili gestiti dal Comune di Milano. Un ruolo a cui teneva tanto, e un viaggio a cui teneva ancora di più. Avrebbe accompagnato quei ragazzi in un giro nel territorio americano, il suo sogno.
Poco prima che partisse, lo silurarono, per dare spazio al solito raccomandato di turno. E da lì iniziò la sua discesa.
Abbiamo speso tutti quei dollari durante il nostro viaggio, e mi sono commossa al pensiero di portarlo finalmente là, dopo 16 anni.
Mio padre mi ha insegnato cosa siano dignità e rispetto, serietà e passione. Sul lavoro e nella vita. Ieri ho alzato la testa, anche per lui.
lunedì 23 giugno 2008
Serendipity.....
Finalmente ce l'abbiamo fatta. Dopo 1 anno e un vero viaggio della speranza (1290 km tra andata e ritorno in 2 gg e mezzo... santa motina anche stavolta!! quasi 40 km di code tra andata e ritorno, svicolate grazie alla strommina e alla bravura del mio centauro!!), siamo riusciti ad andare a Torrita di Siena e godere del regalo di Roby e Ivo... una meraviglia!! bellissimo regalo di nozze in magnifico posto.
La Residenza d'Arte, www.residenzadarte.com, si trova a cavallo tra Umbria e Toscana, inerpicata su un colle dal quale, manco a dirlo, si gode una vista spettacolare della Val di Chiana. Il posto è unico anche perchè letteralmente museo a cielo aperto dell'artista Anna Izzo, pittrice e scultrice specializzata in ritratti femminili.
Ogni angolo di questo borgo, ogni ambiente, sono curati nei minimi dettagli con pezzi originali dell'artista. Per darvi un'idea, questo è il gazebo dove facevamo colazione la mattina, e questa invece la nostra stanza (che più che una stanza sembrava un vero e proprio appartamento!!).
2 magnifici giorni di sole ci hanno permesso di godere appieno delle bellezze mozzafiato di queste terre (Wondershire, per dirla all'inglese...): Montepulciano, Pienza, Cortona, Montalcino, e la stessa Torrita di Siena. E siamo persin riusciti a salutare Maribe, Giovanni e la piccola Claudia, in attesa di conoscere presto il piccolo in arrivo..
Un vero sogno, il modo migliore per ricordarci che la vita è una sorpresa continua, che la bellezza è sempre davanti ai nostri occhi e che dobbiamo solo ricordarci di aprirli più spesso.
ma soprattutto... che non dobbiamo mai smettere di stupirci dei doni inaspettati che arrivano quando meno te l'aspetti. SERENDIPITY.
E per chiudere, un grosso abbraccio a Gabry che ieri alle 12.00 è arrivata a Santiago. Ha concluso un percorso per iniziarne un altro.
Buona strada a tutti.
mercoledì 11 giugno 2008
... slow, slow food...
giovedì 29 maggio 2008
Time
you are young and life is long, and there is time to kill today
but then one day you've find ten years have got behind you
no one told you when to run, you missed the starting gun!!!
Pink Floyd. Time.
Il tempo che passa. Scrivo questo post oggi che compio 37 anni, stralunato dal non aver quasi dormito, non per una notte brava ma per un'emergenza di lavoro. Eccomi, nella macchina.
Welcome my son, welcome to the machine
What have you dream? It's alright we told you what to dream
You dreamed of a big star, he played lead guitar
He always ate in the steak bar
So welcome to the machine
Pink Floyd. Welcome to the machine.
E così mi confronto con questo tema del tempo che passa e ci porta lontano da dove siamo partiti, quando era tutto ancora intero, era tutto ancora "chi lo sa" e ci chiediamo se delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto.
E' un tema che mi è sempre stato caro, se sia più giusto rimanere fedeli a se stessi solcando le strade della maturità o divenire se stessi maturi.
Confine difficile da tracciare e ancora più da percorrere. Scrivere questo post e ascoltare certe canzoni aiuta me stesso (e spero anche chi mi legge) semplicemente a non perdere il filo.
A ricordarsi chi si è, da dove si viene e dove si voleva andare.
And you run and you run to catch up with the sun but it's sinking
and racing around to come up behind you again
The sun is the same in this relative way but you're older
Shorter of breath and one day closer to death
Ma per non esser troppo pessimistici concludo con Peter Cincotti, il quale scrive che
in between man and child
a homeless horse is running wild
E lo dedico ai cavalli di tutti. Perchè non diventino somari col passare degli anni
martedì 27 maggio 2008
Il cammino di Santiago
Even walking on the same way everyboby will have a different road.
Build your walk day by day, feeling and following your sensations, and never be in a hurry.
Every moment more on the road to Santiago will enrich the rest of your life.
E' quanto recita nella sua homepage il sito dedicato al Cammino di Santiago de Compostela, uno dei percorsi a piedi più famosi nel mondo e... nella storia, sin dal lontano 813 d.C.
Un giorno piacerebbe anche a me fare questo percorso.
Vai Gabry!! buona strada e un forte abbraccio.
"May the road rise to meet you,may the wind be always at your back,may the sun shine warm upon your face,and the rains fall soft upon your fields and,until we meet again,may God hold you in the palm of His hand."
mercoledì 14 maggio 2008
Camargue
Non di rado, infatti, si incontrano cavalli (i famosi cavalli camarguesi) che pascolano in totale libertà e affabile familiarità (abbiamo fatto amicizia con 2 in particolare, i primi che abbiamo incontrato e dei quali ci siamo subito innamorati, immortalandoli in una trentina di scatti in 2!!) o tori, che approfittano dei momenti di relax prima di essere ingaggiati in qualche "abrivado" (tradizione della zona che prevede di farli correre lungo le strade dei paesi per poi portarli poi nelle arene).
Abbiamo trascorso in Camargue un intenso ponte del 25 Aprile, riuscendo a vedere molto di quanto questa bellissima zona della Francia offra ai suoi visitatori. Abbiamo soggiornato a Les Saintes Maries de la Mer, forse la più nota località turistica assieme ad Aigues Mortes. E' famosa per esser diventata la culla del cristianesimo nel lontano 48 d.C., e oggi è curiosamente meta del più importante raduno-pellegrinaggio mondiale del popolo Rom, durante l'ultimo weekend di maggio. Abbiamo soggiornato in un delizioso alberghetto, l'hotel Les Arcades, a 100 m dal centro storico del paese e altrettanti dal mare, onestissimo nel prezzo e nei servizi (110 € in 2 colazione compresa per 2 notti), che consiglio vivamente quale base per poter poi muoversi. Nella zona, molto interessanti da visitare sono il Parc Ornitologique du Pont-de-Gau, dove poter osservare in tutta tranquillità diverse specie di uccelli in libertà (primi fra tutti, i famosissimi fenicotteri rosa, che qua hanno stabilito uno dei loro abitat europei preferiti), o le diverse saline disseminate tra un acquitrino e l'altro (noi abbiamo visitato quelle di Giraud).
mercoledì 2 aprile 2008
PARALLELISMI
E’ a questa immagine che ho pensato per scrivere questo post.
Perché se in Tibet (e prima ancora in Birmania) un popolo, non soltanto di monaci e fedeli, viene da anni ripetutamente vessato, represso (sia legalmente che con l’uso giustificato della forza militare), soggiogato da un governo solo a parole democratico, in Italia vengono chiusi ben 3 conventi francescani, senza un’apparente motivazione logica e plausibile (se non quella, ufficiale, della mancanza di fedeli e di soldi…. sarà??).
E’ un parallelismo forte, forse eccessivo, ma parte da un identico, annoso presupposto.
E’ accettabile che un governo, già repressivo in casa propria, possa esercitare, col beneplacito internazionale, il proprio potere anche su, di fatto, una regione autonoma controllata militarmente? E cosa ancor più grave, reprima una protesta non violenta di una miriade di fedeli che semplicemente chiedono di essere riconosciuti come entità a sé stante, evitando che una cultura millenaria venga cancellata dalla massificazione perpetrata dal governo centrale cinese?
Esistono molte regioni autonome, stati satellite che nel corso della storia hanno cercato l’indipendenza e hanno subito violente repressioni, ma qua stiamo parlando soprattutto di una protesta portata avanti da monaci, uomini di fede. Che non usano armi se non la parola e il proprio corpo come scudo di fronte agli assalti delle armate.
Indossano tuniche dai colori caldi e solari, e in Italia, fratelli a loro simili per ispirazione spirituale e di vita, indossano semplici tuniche di canapa o iuta, e vedono chiudersi i propri conventi a seguito di decisioni a loro superiori di natura più o meno politico-economica.
Una nuova diaspora per i fratelli di S. Francesco e per i fedeli che potevano riscoprire in quei luoghi e a contatto con quei missionari, i più puri valori di fede cristiana e un’apertura di cuore e mentale che a fatica si ritrova in altri luoghi religiosi.
Tralasciando la profonda amarezza di molti padri spirituali (e tra questi.. colui che ci ha unito in matrimonio) che hanno dedicato la propria vita alla trasmissione del messaggio di S. Francesco, e ai molti fedeli delusi, abbandonati, addolorati, mi chiedo…. Con che diritto ci si lamenta poi della crisi delle vocazioni? Del sempre minor numero di fedeli che si convertono? Se poi è la Chiesa stessa a tagliare quelli che considera rami secchi che invece hanno molti più germogli di tanti alberi apparentemente rigogliosi….
In entrambi i casi, seppur con modalità diverse, si tratta di un attacco alla libertà. Nello specifico, alla libertà di fede.
A sostegno della causa tibetana, oltre alle molte azioni e proteste pacifiste (tra tutte, ricordo la petizione sul sito di AVAAZ http://www.avaaz.org/en/tibet_end_the_violence/), diversi stati stanno mettendo in atto il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino di quest’estate.
“History will teach us nothing”, cantava Sting. E la storia si ripete. Come a Monaco nel ’72, a Montreal nel ’76, a Mosca nell’80 e a Los Angeles nell’84.
In Italia non si sa ancora con che modalità si affronterà e si supererà la decisione di chiusura dei 3 conventi francescani di Sabaudia, Susa e San Marco a Roma.
Quo usque tandem abutere patientia nostra?
martedì 5 febbraio 2008
relax.... tra i monti!
martedì 29 gennaio 2008
Into The Wild.... your own
Toccano corde profonde, intime, apparentemente solo nostre, in realtà…. rintracciabili nella storia personale di ciascuno.
Ieri sera abbiamo finalmente visto INTO THE WILD.
Finalmente perché scalpitavo da giorni per andarlo a vedere. E nonostante la stanchezza da lunedì sera, ce l’abbiamo fatta. La lunghezza del film devo esser sincera ci ha un po’ provato, ma il senso di libertà misto all’amarezza agrodolce che si prova una volta usciti dal cinema, senza dimenticare i fantastici panorami, fanno passare in secondo piano i 148 minuti della pellicola, che, alla fine, vorresti quasi non finisse più.
Into the wild è un film praticamente perfetto, nella sua voluta imperfezione e anticonformismo. La regia, la fotografia, la sceneggiatura, la colonna sonora, i caratteri dei personaggi, la recitazione, la struttura stessa del film sono perfetti. Non nel senso artistico o tecnico del termine (che comunque meritano una citazione), bensì nella loro essenza.
Il film ti entra e rimane, perché quello che Alex Supertramp sperimenta non soltanto nel suo viaggio ma nella sua storia personale (e in quella di tutte le persone che ruotano attorno a lui) fa parte delle esperienze di ognuno di noi. Realmente vissute, tentate, sognate, sfuggite o anche rifiutate. Per scelta o imposizione. Alex non è un eroe, bensì rappresenta ogni essere umano nella sua essenza più intima e profonda.
Girovagando su internet, ho trovato tra le mille recensioni questa, che mi sembra particolarmente completa e toccante.
Non aggiungo altro, se non il consiglio di andarlo a vedere e di lasciarvi penetrare da ogni inquadratura, pensiero, emozione, riflessione che questo film vi trasmetterà e farà nascere.
E magari… uscirete anche con la voglia di riempire la vostra valigia al più presto e andarvene da qualche parte alla scoperta di nuovi luoghi. Che siano il parco nazionale d’Abruzzo o, perché no….. il deserto del Gobi.
Vado al cinema da solo, oggi - saranno vent’anni che non lo faccio - perché Into the Wild di Sean Penn mi attira al di là e nonostante le recensioni, le stelline o i quadratini sui giornali, i commenti così compostamente «culturali» che lo accompagnano. Disturbano come sempre la mitologia («mito americano», «mito della vita selvaggia», «mito della forza e del coraggio fisico» ecc.), che è un modo come un altro di non confrontarsi con niente.
Sean Penn, che per certi è solo un De Niro mal riuscito, è in realtà il più anticulturale degli attori e dei cineasti, all’opposto del suo presunto modello. È per questo che mi piace.Into the wild racconta la storia tragica e vera - tratta dal romanzo di Jon Krakauer Nelle terre estreme (Corbaccio, pagg. 267, euro 16.60) - di Chris McCandless, studente modello e lettore vorace, che dopo la laurea decide di abbandonare la famiglia - che odia - per cercare un rapporto solitario e totalizzante con la natura. La sua preferenza per autori come Jack London, Lev Tolstoj e Henry David Thoreau è un segno preciso, e già preoccupante, della sua chiarezza d’idee - troppo chiare, quelle idee, come se un guasto d’origine facesse crescere troppo la pianta per poi impedirle di maturare.
Chris, che si ribattezza Alex Supertramp («supervagabondo»), ha in mente una destinazione finale dei suoi viaggi: l’Alaska. Prima, però, vuole prepararsi all’impresa, vincere le paure ataviche - quella dell’acqua, per esempio -, fortificarsi nel fisico, e al tempo stesso far perdere le proprie tracce, non soltanto ai genitori, ma alla società intera. I suoi scrittori di riferimento, sia pure in modi diversi, hanno un punto in comune: l’opposizione tra natura e società. E devono perciò tutti e tre qualcosa a Rousseau. La società - di cui gli sgangherati genitori di Chris sono la concrezione estrema e maligna - ha un solo scopo: quello di creare risposte finte alle domande dell’uomo. Perciò l’uomo, se vuole sapere veramente chi è, deve allontanarsi dalla società e rifugiarsi nella natura.
L’Alaska è il luogo destinato di Chris perché lì, forse, è ancora possibile una fuga. La società ha invaso la natura, perfino il Grand Canyon è regolato come la City di Manhattan. Gli uomini buoni finiscono in galera, oppure vivono di ricordi. La società li taglia fuori come tanti rami secchi.
Chris ha la possibilità di vivere con alcune persone buone, ma non accetta di condividere la loro sorte di sconfitti. Ha ventitré anni, e splende in lui una giovinezza che non ammette sconfitte, una giovinezza vittoriosa proprio perché giovinezza.
Inizia così lo splendido fallimento della sua spedizione in Alaska. Nemmeno l’amore di una bella ragazza hippy lo ferma. Né l’amore né tantomeno il sesso rispondono infatti alla domanda, all’incessante «I want!, I want!» che urla dentro, come scriveva Saul Bellow. E allora non ci si può fermare, non si può amare, non si può procreare per non dare inizio a nuove catene di mostruosità e di mostri.
A dispetto di tutte le notizie orribili che apprendiamo sul loro conto, i genitori di Chris ci appaiono attraverso l’occhio del regista, che li guarda con pietà. I venti secondi in cui il padre (William Hurt), uscito disperato di casa, cammina furiosamente fino alla strada per poi sedersi lì, nel mezzo, sono forse la cosa più bella del film. Lì, forse, questo sciocco borghese comincia a capire la vera tragedia di suo figlio. La capisce perché la scopre dentro di sé.
Thoreau, London, Tolstoj, il buon selvaggio, la fuga dalla società, il contatto diretto con la natura sono tutte menzogne, tutti (al più) pretesti, chiacchiere giustificative per dare un’apparenza discorsiva, dialettica, etica a ciò che non conosce parola né discorso né morale, a questa malattia cieca per la quale un individuo, perlopiù un giovane, comincia a vedere il proprio futuro come un imbuto sempre più stretto, e la vita come la lenta esecuzione di una condanna a morte.
La fuga di Chris ha questo di particolare, che è come tutte le altre: come quelli che muoiono per droga. Succede alzandosi una mattina, oppure assistendo per strada a un fatterello in apparenza insignificante che fa da detonatore per una bomba nascosta in noi chissà da quanto tempo. Ma altre volte l’inizio si trova prima ancora, al tempo delle sciocche lacrime notturne infantili, o delle prime congetture su «cosa farò da grande».
La colpa non è della società né dei genitori. C’è chi, più avveduto, si tiene a distanza da una voragine che c’è, dentro la vita, e chi non riesce a evitarla. Questa voragine non si spiega. Esiste, e basta. È quello scandalo di cui tutta la storia dell’umanità ha parlato.
Qual è l’origine del male? Perché non esisterà mai un mondo perfetto? Perché il bene che vogliamo fare ci si corrompe tra le mani? Imagine, cantava John Lennon. Poveretto. Chiamatela società, chiamatela capitalismo, chiamatela semplicemente peccato originale, che è la definizione meno ipocrita e più concreta. È quella cosa lì.
Chris pensa di poter dominare la natura dell’Alaska. Ha un fucile, è fisicamente fortissimo, ma come si fa a non sapere che in certi periodi dell’anno gli animali sembrano scomparire, e che in quei periodi un fucile non serve a niente? La sua Alaska immaginaria va in frantumi sotto i colpi di quella reale, di cui gli manca la chiave di lettura: uccide un alce ma i vermi e le mosche glielo portano via, poi, in preda alla fame, scambia una patata velenosa per una commestibile.
Il vero si rivela, alla fine, e come sempre non porta soltanto dolore.
La fine di Chris è quasi una guarigione. Come Ivan Ilic’ del racconto di Tolstoj muore gridando «non c’è più la morte», così Chris prima della fine fa in tempo ad annotare queste parole: «Non esiste felicità se non è condivisa».
La sua non è la morte di un testardo malato, ma di un uomo sano. Il Novecento e l’Ottocento si allontanano da noi, ma non abbastanza da toglierci di dosso una delle loro maledizioni: quella di essersi vergognati della verità e della realtà (ivi inclusa quella del male) al punto da sostituirle con un discorso pieno (psicologia, sociologia) di comprensione e di dubbio, da una strategia di addomesticamento.
La sorte di Chris appare come una specie di drammatica salvezza da tutta questa menzogna. Alla fine, almeno l’io si salva. Il male dei secoli è sconfitto.
martedì 15 gennaio 2008
Amami-Love Me 2 Times... and more!!
E mi fa piacere riaprire il nostro blog col primo post del nuovo anno dedicato a un giovane scrittore e alla sua opera prima.
Sabato pomeriggio, infatti, abbiamo assistito (purtroppo in pochi…) al reading di Placido di Stefano, per gli amici Dino, durante il quale ha presentato alcuni brani salienti della sua opera prima “Amami-Love Me Two Times” (edito da PeQuod e rintracciabile anche in Feltrinelli).
La lettura è stata accompagnata da alcuni pezzi suonati da Augusto al basso e Mejo alla chitarra (non sono sicura si scriva così, mi si perdoni l’eventuale errore ortografico… ;-))
La particolarità di questo evento è rappresentata innanzitutto dalla qualità dell’evento stesso.
Dino non legge il proprio romanzo, bensì lo interpreta con coinvolgenti capacità recitative che rivelano la militanza nella scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e soprattutto l’amore profondo e spontaneo per la recitazione.
Così facendo, permette all’ascoltatore di lasciarsi trasportare all’interno del racconto, di carpire alcuni tratti del protagonista e della sua storia, e lascia sapientemente in sospeso alcune domande che costringono l’ascoltatore a soddisfare la propria curiosità solo attraverso la voglia di leggerlo.
Dino rivela contemporaneamente doti di scrittore, cantante e attore, mostrandosi come artista poliedrico e completo, e la storia con la quale si affaccia per la prima volta al grande pubblico è scabrosa, cupa, ossessiva, inquietante, tenebrosa. Come i nostri tempi e la nostra società.
Molti degli elementi narrativi che emergono da Amami fanno ormai parte integrante del tessuto e dello scheletro di numerosi romanzi sia recenti che facenti parte di uno storico letterario al quale nessun lettore contemporaneo può sottrarsi.
Non per niente, tra i suoi ispiratori, Dino annovera Bukowski, Céline, i massimi esponenti della beat generation e non meno è possibile ritrovare tra le fila del suo racconto le forti influenze di Kafka e Dostoevskij.
Fin qui tutto bene. Si potrebbe pensare a un ennesimo Cugia, un Culicchia o un Palaniuck nostrano.
Il tema del doppio, dell’infanzia violata, dell’incapacità di amare sé stessi e il prossimo e contemporaneamente lo spasmodico bisogno di amore, la ricerca del tanto famigerato lato oscuro, la necessità di sporcare, macchiare, buttarsi nel fango, scavare nella spazzatura ed entrare nel proprio buco nero… perché, questo è certo, le tenebre hanno sempre affascinato più della luce, per quanto tutti si tenda alla sua disperata ricerca. Il buio fa crescere, seppur squarciando e spaccando l’anima, costringendola a ritorcersi su sé stessa e a guardare in faccia la propria bestia nel cuore.
La particolarità di questo romanzo, però, è in realtà secondo me proprio il contrasto tra l’elemento narrativo e il suo stesso interprete.
Leggendolo, infatti, ci si aspetterebbe di avere di fronte il solito bello/brutto e dannato, l’emule di Bukowski con la bottiglia di wisky nella sinistra e il pacchetto di sigarette nella destra. In realtà, questa aspettativa viene in buona parte delusa.
Perché Dino è fondamentalmente un gaudente, una persona che ama sperimentare ogni aspetto della vita, anche quelli a tinte fosche, perché in fondo non ha paura di mettersi in gioco e rischiare.
Desiderare di diventare uno scrittore come il suo stesso protagonista-alter ego, un vero scrittore, uno che scrivendo ci campa, per intenderci, oggi più che mai è follia, mancanza di senso pratico, totale astrattismo da un mondo reale commerciale e consumista.
Pertanto, chi desidera più di ogni altra cosa scrivere e vivere scrivendo è decisamente un pazzo, a meno di avere le spalle coperte da qualche amicizia/parentela/liason con qualche casa editrice o, meglio ancora, il conto in banca che non si tinge mai di rosso…..
Dino, invece, da buon visionario felliniano, ci prova, ci crede con tutto sé stesso e in realtà rivela l’animo naive e fanciullo di chi alla fine crede con tale caparbietà e convinzione di riuscire a toccare la luna con un dito… che prima o poi ce la farà.
Più che un eroe di Fante o Keruac, mi ricorda un John Belushi o un Don Chisciotte moderno. Potrebbe essere il protagonista ideale de "Una banda di idioti" di John Kennedy Toole (che guarda caso sto leggendo proprio in questo periodo). Con uno stile e una passione genuini e di fortissimo impatto.
Questo connubio di personale e originale istrionismo che si realizza artisticamente in uno stile letterario cupo, scarno e scabroso è il punto forte di Dino.
Lo spettacolo, perciò, soddisfa e conquista, anche grazie all’accompagnamento complice e attento dei suoi due amici musicisti, che rappresentano molto di più di una semplice spalla.
E poi c’è lei, la vera protagonista, la macchina da scrivere, strumento, supporto, confidente e amica di qualunque scrittore. Alla quale Dino regala, giustamente, il ruolo di primadonna non soltanto nella sua rappresentazione ma in tutta la sua opera.
Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette.
Dino le spalle le ha larghe, di chi a 38 anni di vita ne ha già vissuta abbastanza o forse… ancora troppo poca, per le proprie aspettative.
Ma le scarpette per correre ce le ha eccome.
Dentro agli anfibi.
P.S. cercheremo di organizzare un’altra presentazione ad Avigliana in primavera, in un locale sul lago piccolo che ben si presta a questo genere di eventi, e Dino ha ancora in cantiere una serie di date per la sua presentazione (tra queste… spero presto anche a Legnano, al caffè dei viaggiatori), perciò consiglio vivamente a tutti di partecipare e soprattutto… di leggere “Amami”!!