lunedì 10 dicembre 2007

Lavorare non stanca, uccide

questa mattina, li ho sentiti passare.
il corteo guidato da Chiamparino di protesta e manifestazione del lutto cittadino per i morti della Tyssen. sono partiti da piazza Arbarello, dietro il mio ufficio.
e il cuore si è stretto. come tutte le volte che accadono morti senza senso come queste.
o meglio: col senso che gli abbiamo dato noi, attraverso l'indifferenza e l'elusione di leggi che tutelerebbero la salute e la sicurezza di ogni lavoratore.
soprattutto di quelli che fanno il lavoro sporco, sotto tutti i punti di vista.
con la logica del mercato, in base alla quale, per esser concorrenziali coi cinesi che ormai dettano letteralmente le leggi della domanda/offerta sia con i materiali che con la manodopera venduti a prezzi ridicoli, bisogna tagliare ogni spesa cosiddetta superflua. e l'adattamento alle normative di sicurezza è tra le prime ad esser disattesa.
non serve esser figlio di un metalmeccanico per piangere e indignarsi di fronte a morti del genere.
e non serve avere un marito specialista in sicurezza per incazzarsi profondamente di fronte alla capacità delle aziende (multinazionali e non, queste cose accadono, vi assicuro, anche nelle piccole realtà) di considerare i lavoratori letteralmente carne da macello.
perchè qua non si tratta di fare elogi al marxismo, si tratta di alzare il velo su una serie di comportamenti che la classe dirigente aziendale ha ormai reso prassi comune.
non c'è azienda che non si adegui a questo status quo (ne parlavo oggi a pranzo giusto con una mia collega il cui marito è operaio in Iveco). e la cosa assurda è che se ne parla (ogni tanto) ma non si fa nulla di concreto ed effettivo per cambiare le cose.
ci si indigna, si pensa a quei poveri martiri del lavoro, alle loro famiglie, a quanto sarà triste il loro Natale, ma non si cambia nulla. non nel lungo periodo. perchè per cambiare realmente le cose, dovremmo cambiare la struttura di questa società, di cui la globalizzazione ha stravolto gli schemi.
troppo grosso e imponente come obiettivo, impossibile da raggiungere.
e allora ci si indigna, ci si incazza ma non si fa nulla. si prega solo che cose del genere non accadano ai propri mariti, figli, parenti, amici, conoscenti.
è assurdo, ma si è impotenti di fronte ad un ennesimo massacro.
non serve andare in missione fino a Kabul. per perdere la vita oggi basta entrare in una fabbrica.