lunedì 10 dicembre 2007

Lavorare non stanca, uccide

questa mattina, li ho sentiti passare.
il corteo guidato da Chiamparino di protesta e manifestazione del lutto cittadino per i morti della Tyssen. sono partiti da piazza Arbarello, dietro il mio ufficio.
e il cuore si è stretto. come tutte le volte che accadono morti senza senso come queste.
o meglio: col senso che gli abbiamo dato noi, attraverso l'indifferenza e l'elusione di leggi che tutelerebbero la salute e la sicurezza di ogni lavoratore.
soprattutto di quelli che fanno il lavoro sporco, sotto tutti i punti di vista.
con la logica del mercato, in base alla quale, per esser concorrenziali coi cinesi che ormai dettano letteralmente le leggi della domanda/offerta sia con i materiali che con la manodopera venduti a prezzi ridicoli, bisogna tagliare ogni spesa cosiddetta superflua. e l'adattamento alle normative di sicurezza è tra le prime ad esser disattesa.
non serve esser figlio di un metalmeccanico per piangere e indignarsi di fronte a morti del genere.
e non serve avere un marito specialista in sicurezza per incazzarsi profondamente di fronte alla capacità delle aziende (multinazionali e non, queste cose accadono, vi assicuro, anche nelle piccole realtà) di considerare i lavoratori letteralmente carne da macello.
perchè qua non si tratta di fare elogi al marxismo, si tratta di alzare il velo su una serie di comportamenti che la classe dirigente aziendale ha ormai reso prassi comune.
non c'è azienda che non si adegui a questo status quo (ne parlavo oggi a pranzo giusto con una mia collega il cui marito è operaio in Iveco). e la cosa assurda è che se ne parla (ogni tanto) ma non si fa nulla di concreto ed effettivo per cambiare le cose.
ci si indigna, si pensa a quei poveri martiri del lavoro, alle loro famiglie, a quanto sarà triste il loro Natale, ma non si cambia nulla. non nel lungo periodo. perchè per cambiare realmente le cose, dovremmo cambiare la struttura di questa società, di cui la globalizzazione ha stravolto gli schemi.
troppo grosso e imponente come obiettivo, impossibile da raggiungere.
e allora ci si indigna, ci si incazza ma non si fa nulla. si prega solo che cose del genere non accadano ai propri mariti, figli, parenti, amici, conoscenti.
è assurdo, ma si è impotenti di fronte ad un ennesimo massacro.
non serve andare in missione fino a Kabul. per perdere la vita oggi basta entrare in una fabbrica.

mercoledì 7 novembre 2007

si è spenta una delle ultime voci libere

Già. E’ difficile parlare di Enzo Biagi senza correre il fortissimo rischio di cadere nella retorica. Perché rappresenta lui stesso la storia del nostro paese che ha a lungo descritto con passione, discrezione e rispetto. Anche durante i 6 lunghi anni di involontario esilio. Lo hanno chiamato voce libera, e ormai è diventato il simbolo di quel giornalismo etico, libero e indipendente che tanto fatica a sopravvivere. Fortunatamente, la sua eredità non è andata persa del tutto, c’è ancora qualche voce libera che non grida fuori dal coro, ma a modo suo riesce discretamente a farsi sentire. Una di queste è sicuramente Gianni Minà.
Sto terminando di leggere il suo ultimo libro, “Politicamente Scorretto”, di cui ho più volte consigliato la lettura. Da anni lo seguo attraverso la sua rivista LatinoAmerica e tutti i Sud del Mondo, e non a caso ho inserito il link del suo sito sul ns blog.
Ascoltare quanto queste voci hanno da raccontare oltre che un privilegio è un gesto di apertura e civiltà verso sé stessi e verso la nostra società che troppo poco conosciamo.
Perché portano a riflettere senza necessariamente abbracciare una fede politica, e permettono di analizzare la notizia con la verità dei fatti, non delle parole.
E in un mondo di urlatori e predicatori, questo rappresenta il loro insegnamento più grande.

martedì 16 ottobre 2007

barista....


... just for one day!! ed ecco il Lino's coffee a pieno regime, con una barista prestata dalle montagne olimpiche giusto per l'occasione... ;-)
e tra avventori occasionali e facce amiche, ci siamo anche divertiti!!
al prossimo caffè, ragazzi!!

lunedì 8 ottobre 2007

il caffè dei viaggiatori

non amo fare pubblicità (nonostante per lavoro mi occupi sempre di più di marketing), ma un piccolo post a Stefano e Antonio e al loro caffè (di prossima apertura) lo dedico con affetto.

perchè sarà un caffè speciale dove si respirerà aria di viaggi e miraggi (soprattutto nelle grigie giornate invernali, quando non si sogna altro che mete esotiche e lontane), con un televisore al plasma che ininterrottamente proietterà le immagini delle mete visitate da questi 2 viaggiatori per spirito e vocazione. un angolo di bookcroosing con una lunga lista di testi e guide di viaggio. e persino un'area wi-fi dove potersi collegare gratuitamente ad internet col proprio portatile.

dedico questo post al coraggio e alla fiducia di 2 amici che hanno saputo e voluto credere fino in fondo alla possibilità di realizzare un sogno. rischiando il tutto per tutto.
per questo, assieme ai nostri in bocca al lupo più sinceri, lancio un invito a tutti ad andarli a trovare per gustare un ottimo caffè e fare 2 chiacchiere con qualcuno che ancora ama girare e conoscere questo nostro sconfinato mondo zaino in spalla, occhi spalancati e mente aperta.
con quello spirito di scoperta e incanto che ancora, nonostante tutto, può farci dire "what a wonderful world".

buon caffè e buon viaggio a tutti!

giovedì 4 ottobre 2007

la giovinezza del fitness

Scusate se ritorno ancora sull'argomento Police, ma ieri sera ho letto un po' di recensioni sulle testate e mi è letteralmente saltata la mosca al naso.
Non tanto perchè qualcuno scrive dei pareri sui quali musicalmente un po' dissento, quanto per i tanti che si sono accaniti - a sproposito - soltanto sull'età dei tre o degli spettatori presenti.
Scrivo per (ma vorrei dire contro) le tante penne di fama nazionale, primo fra tutti Culicchia che - forse smemorato di aver fatto la sua fortuna proprio cavalcando i temi giovanilistici - riduce l'evento Police a un fatto di pancette e stempiature, parlando non del fatto che seppero sfuggire ai clichè del rock - già allora a volte stantii, oggi a dir poco asfittici - ma di capelli biondi e ossigenature, ancora una volta riducendo il rock a un fatto di costume.
Eppure proprio i tre puntarono fin da subito tutto sulla musica e sulla presenza scenica, ma quella fatta di energia e interplay (qualcuno degli eminenti critici ha mai sentito questa parola e sa cosa significa?) non certo quella degli abiti di scena o dell'eyeliner che di lì a poco sarebbe comparso anche sulle palpebre dei maschietti. Persino le copertine furono sempre molto scarne: una foto dei tre, un logo, giusto un po' di superego ma senza strafare.
Niente filmati, niente pupazzi e abiti di scena, il massimo che si concedevano era una maglietta a righe e le luci rosse durante roxanne.
Certo non hanno mai negato di essere bellocci ma solo in un paese come l'Italia si puo' continuare a parlare solo di quello anche oggi che hanno 60 anni.
L'altra sera si sono sentiti brani che a distanza di 25 anni suonano ancora freschi come se fossero scritti oggi, alla faccia di chi odiernamente non sa che pesci pigliare e rimesta il fondo della polenta.
Eppure - quasi - tutti lì a scrivere della loro smagliante forma fisica, come se quello fosse il motivo per cui stanno facendo un tour mondiale sold out tutte le sere.
Si riduce la giovinezza a un fatto fisico, come se qualche capello bianco fosse responsabile del mio diritto a fare o ascoltare musica intelligente, del diritto - ma dovrei scrivere dovere - di tutti ad essere ancora giovani mentalmente, di avere ancora un domani fatto di "chi lo sa" e un presente con delle emozioni forti.

A questi sapientoni che pensano che raggiunti i quaranta ci si debba accomodare in poltrona dedico i versi di un brano di Dave Matthews, che recitano più o meno così

Forget about the reason
And the treason we are seeking
Forget about the notion
That our emotion can be kept at bay
Forget about being guilty
We're not innocent instead
For soon we will all find our lives swept away

mercoledì 3 ottobre 2007

looking back.... but not in anger!!

già. perchè non è stata una serata nostalgica di un passato che è stato e che ora non è più. o per lo meno non solo.
certo, è inevitabile ripensare a sè stessi e a quegli anni '80, in cui la musica, la cultura, l'arte venivano scossi da una serie di movimenti e innovazioni forse tecnicamente non comparabili a quanto avvenuto nel precedente decennio, ma che senz'altro hanno lasciato un segno nella storia e in chi in quegli anni si affacciava al mondo.
non è stata una reunion all'insegna del "quant'eravamo bravi e quant'è bella giovinezza". no. perchè tecnicamente ed emotivamente questi 3 maestri hanno dimostrato di saper fare ancora musica di classe e travolgente (tant'è che il pubblico non era composto solo da 30-40enni con la lacrimuccia ma anche da molti 20enni), e di poter insegnare ancora molto.
fa effetto pensare alla voce di Sting che ancora spacca il silenzio come una crepa in un lago ghiacciato. pura. cristallina. energica. irraggiungibile.
fa effetto pensare a un Andrew Summers che non si ferma un secondo dei suoi 64 anni e suona come se ne avesse ancora 20 di meno, saltando e correndo sul palco nonostante pancetta e doppiomento.
e per la sottoscritta, fa effetto vedere uno Stewart Copeland magnifico. sì, assolutamente magnifico. potente. eclettico. camaleontico. incredibilmente affascinante tra gong e batteria. una folgorazione, per me che, non ci crederete, ho sempre nutrito una passione segreta e particolare per lo sfuggente e nervoso figlio di un agente della CIA.
insomma... disorganizzazione organizzativa a parte (il solito overbooking ha costretto anche sottoscritta e consorte a godere lo spettacolo dalla balaustra del 3 anello), lo spettacolo ha pienamente soddisfatto le mie sovraeccitate aspettative.
e, lo confesso. la lacrimuccia è scappata. per quanto trascinata emotivamente da can't stand losing you, con every breath you take non ce l'ho fatta. e ho sentito in una botta dentro di me i miei 20 anni, è stato come frullarsi in 5 minuti passato e presente.
ma senza rimpianti. anzi. oggi questo concerto me lo sono goduto come forse non avrei fatto 20 anni fa.

The Police are back!!!

Per il mio tredicesimo compleanno mi feci regalare 150 mila lire da spendere in dischi: avevo la mente annebbiata dal rock e le tasche ovviamente vuote.
Così entrai nel negozio migliore del paese di allora (si chiamava Lion Music, me lo ricordo ancora) e uscii con un sacchettone di vinili, tra cui c'erano anche l'appena uscito Synchronicity e Ghost in the Machine.
Tempo una settimana e fu folgorazione per questo trio inglese che vendeva adrenalina senza svendere l'intelligenza. In capo a qualche mese mi ero procurato la discografia completa e sognavo i miei 15/16 anni con il permesso di andarli a vedere dal vivo.
Purtroppo ho dovuto aspettare molto di più, ma ne è valsa la pena.

La Tama di Stewart Copeland mi provoca ancora un tuffo al cuore, Sting non salta più come quando strizzavano l'occhio al punk ma canta come non mai e Summers svolge il suo lavoro con la solita intelligenza. Forse suoni non proprio all'altezza per i primi pezzi, ma poi la situazione va migliorando e d'altronde oggi suonano al Delle Alpi, mica al Marquee....

Chi si aspettava un greatest (io un po' lo temevo) si trova subito spiazzato perchè dopo Message in a Bottle infilano Synchronicity II e tra un hit e l'altro trovano posto un'immensa Driven to Tears, Voices inside my head ed altri pezzi che urlano forte "questa non è solo un'operazione commerciale: siamo i Police e siamo tornati!"
E così davanti a Wrapped around your finger i 65mila sono in religioso silenzio, ipnotizzati dalla magia di vedere ancora i tre e di sentirli in gran forma, mentre Every breath you take provoca un'orgia di telefonini che hanno ormai sostituito gli accendini in queste situazioni.

Hanno scritto fiumi di parole per descrivere la loro musica, hanno scritto che era il rock filtrato dal punk con le ritmiche reaggae, hanno scritto che era il jazz-rock che incontrava il reggae con un approccio punk, ma voi definireste la nutella "una crema alla nocciola"???

E allora band di tutto il mondo tremate, perchè... The Police are Back!

martedì 2 ottobre 2007

... they're here, finally!!!



ebbene sì... questa sera i Police suoneranno allo stadio delle Alpi per la loro unica data italiana... inutile dire che non vediamo l'ora!! abbiamo atteso da mesi questo concerto, l'unico che entrambi riusciremo a vedere della band (visto che da fanciulli, quando consumavamo i loro dischi, non abbiamo avuto questa opportunità...), e perciò... ancor più atteso. ovviamente, posteremo impressioni, emozioni, e quant'altro sul blog e ci auguriamo che questo spettacolo possa davvero essere unico. e indimenticabile. so... bring on the show!! see you.

venerdì 28 settembre 2007

settembre sta finendo...

... e con lui l'estate. proprio lo scorso weekend si è festeggiato l'inizio dell'autunno, e noi con esso... anche il matrimonio di una cara amica. dove? a Compiano, borgo d'Italia in provincia di Parma. garanzia di panorami rilassanti e ottimo cibo. tutta la valle del Taro merita una visita anche solo per trascorrere un weekend a contatto con la natura ma a soli 70 km da Parma, deliziosa cittadina godereccia, da qualche tempo diventata famosa anche come meta di incentive.
se volete farci un salto, consigliamo di riposare nel B&B "Ca' del Duca": www.cadelduca.it
e per conoscere Compiano e gli altri borghi d'Italia: www.borghitalia.it
per qualche news su Parma e dintorni: http://portale.parma.it/
ah... dimenticavo: tutta la valle del Taro è anche famosa per i funghi, soprattutto il porcino. per i golosi... www.stradadelfungo.it

buon giro e buon appetito!

domenica 16 settembre 2007

.... the end.... but just of this trip!!

già. siamo tornati alla quotidiana realtà da quasi 3 settimane e non avevamo ancora chiuso il capitolo America, anche se il ns ultimo post poteva già essere un degno resume.

non abbiamo ancora terminato di sistemare tutte le foto, nè tantomeno deciso quali stamperemo e appenderemo.

e stiamo già pensando a dove andare come prossima meta... forse Marocco, in autunno, approfittando delle tariffe ultrascontate che si possono trovare sul sito www.viaggi-outlet.it che caldamente consigliamo a tutti.

è così. la vità è un continuo fluire, muoversi, cambiare e andare avanti e noi con essa.
perciò questo blog continuerà ad esistere per continuare a comunicare pensieri, impressioni, racconti di viaggio e non.

un po' come ispira il suo nome, ovvero quell'insieme di trasmissioni radiofoniche che cominciarono ad essere trasmesse dalla BBC poco prima dello scoppio della 2° guerra mondiale e che rappresentavano un modello di giornalismo e informazione tempestivo, indipendente e fedele ai fatti, separando le notizie dai commenti (lo sapevate che l'idea di fondo di RadioLondra fu italiana?). ovviamente... non osiamo arrivare a tanto!!

e per chiudere (questa volta davvero...) il capitolo America prima di lasciare spazio ad altri pensieri e ad altri viaggi, una foto, scattata l'ultima sera prima del nostro rientro in territorio italico. LA Dodgers-vs-Washington Nationals, giocata al Dodgers Stadium di LA e vinta dai padroni di casa.

forse uno dei più bei ricordi degli Stati Uniti che ci siamo portati dietro. perchè vedere una partita di baseball dal vivo nel paese che lo ha consacrato a sport di fama mondiale è un'emozione non da poco, e perchè qua abbiamo assistito ad un atto di civiltà che rispetto a tante mancanze dello stato sociale e civile americano risulta essere d'esempio per tutti.

uno stadio gremito, dove mai il tifo si è fatto violento o pericoloso, un popolo di tifosi fatto di famiglie, dal piccolo di 1 mese che poppa dalla mamma (che si scofana il solito hamburger extrabig...) al nonno con tanto di copertina (rigorosamente coi colori della squadra...) e bidone di noccioline, tutti insieme a gioire e patire per ogni punto guadagnato o perso della propria squadra del cuore.
e a partita finita, tutti ordinatamente uscire, raggiungere la propria auto e con estrema serenità e tranquillità tornarsene a casa.
senza bottiglie o altri oggetti tirati sul campo, senza tafferugli (non abbiamo visto un poliziotto in assetto anti-sommossa), senza morti nè feriti.

proprio come non succede in Italia, ogni domenica.

mercoledì 5 settembre 2007

WHICH WAY TO AMERICA?

“We are the children of concrete and steel, everything is possible but nothing is real” cantavano gli Americanissimi Living Colour negli anni 90, interrogandosi sul presente e sul futuro della loro nazione.

Oggi, che il piede sul pedale del turboconsumismo sembra essere spinto con la massima forza, queste parole suonano quasi profetiche.

L’America che ho visto mi ha colpito profondamente: una nazione pazzesca, in cui tutto puo’ convivere con il suo contrario ma alcune cose sono stranamente tabu’, in cui si sono raggiunte delle conquiste impensabili in ogni campo ma sembra così difficile fare molte cose che noi europei diamo per scontate.

La forma urbana delle città è una delle cose che mi ha più colpito.

O meglio, l’assoluta mancanza di forma. In America il concetto di città semplicemente non esiste. La città non è un luogo, inteso come identità forte di uno spazio in cui qualcuno – un antico impero o anche solo una municipalità in tempi più recenti – ha pianificato il senso dello sviluppo. Nella parte di America che ho visto la città – piccola o grande che sia – è un’accozzaglia indescrivible di edifici, bellissimi o decadenti, drugstore, fast food e quant’altro, frammista a spazi aperti assolutamente abbandonati a se stessi. In un paese che ha esasperato il concetto di proprietà privata sembra che il concetto di spazio pubblico semplicemente non esista. Il paesaggio, al di fuori dei parchi e delle aree tutelate, non è di nessuno pertanto non riguarda nessuno.

Lo spazio diventa meraviglioso solo quando è privato, che sia una fantastica villa o l’edificio di una multinazionale, il resto non conta, è spazio da utilizzare.

Questa concezione pazzesca si riflette anche nel modo in cui si approcciano le città, che sembrano paradossalmente degli enormi scenari di Hollywood, dove si rimane a bocca aperta guardando le facciate principali e profondamente delusi appena si gira l’angolo, come se appunto fossimo in un mondo di scenari di cartone. Dietro la facciata “Made in USA” c’è sempre un retro che spesso è sporco, trasandato e in cui persino le linee elettriche non sono interrate ed hanno trasformatori appollaiati in cima a pali di legno.

La stessa sensazione si ha guardando le persone: l’opulenza più sfrenata lascia il posto alla miseria nera nel giro letteralmente di pochissimi metri: come se a Torino ci fosse un pezzo del campo nomadi fra piazza Castello e piazza San Carlo. Eppure qui nessuno sembra stupirsi.

Ovunque pervade un’atmosfera di precarietà, in cui le cose sembrano pensate e realizzate nel migliore dei modi – in questo sono veramente bravi, bisogna riconosceglierlo – per lo scopo a cui servono, ora.

“Right here, right now”, esattamente.

Quando poi il business è finito lascia il posto alla decadenza, tanto lo spazio qui non manca di certo. Così si puo’ assistere ad interi paesi fantasma oppure ad un’Hollywood Strip lasciato in balia della sporcizia e dei drugstore di quart’ordine, semplicemente perché oggi lo shobiz si è spostato in un altro quartiere di Los Angeles. Eppure qui, su questi marciapiedi e in questi teatri, si è scritta la storia del cinema e del jazz.

Perfino il vento neoecologista che la Natura ci sta inculcando a forza di cicloni e inondazioni qui sembra stranamente non spirare affatto. Potrei racontarvi dello spreco di acqua visto ovunque, anche in mezzo al deserto, oppure di automobili 3.500 cc considerate di media cilindrata o di migliaia di km in mezzo al deserto dove non solo non si scorgono centrali solari o eoliche, ma danno triste spettacolo decine di centrali elettriche a carbone….

Ancora allibiti dalla follia collettiva che sembra pervadere questa nazione ci si puo’ così imbattere in dibattiti televisivi dove non ci si interroga, come fortunatamente in Europa ancora accade, sul senso che tutto cio’ possa avere, bensì sul fatto che venga usato “taxpayer money” per aiutare le popolazioni statunitensi colpite dagli uragani.

Così, scappando da Palm Springs dove il tono normale delle conversazioni verte sulle operazioni di chirurgia estetica approdiamo alla costa pacifica, dove Los Angeles e i suoi sobborghi troppo ricchi o troppo poveri ci regalano ancora stupore per gli eccessi di questa società dell’”over the top” a ogni costo.

Qui il livello economico sembra inoltre direttamente proporzionale al livello di finto salutismo della popolazione. Parlo di finto salutismo perché il cibo americano da solo è sufficiente a vanificare ore di jogging o di fitness. Ma la salutista bassa California non si ferma qui, per le strade di Santa Monica e di Malibu è vietato fumare (per le strade, avete letto bene…) nonché possedere o bere alcuna forma di alcolici.

Così si puo’ assistere alla scena di solerti sceriffi in spiaggia (armati di quad e pistola) che – dopo aver effettuato test elettronici sulle bevande dei ragazzi – infliggono multe e verbali ai delinquenti che hanno osato portarsi in spiaggia una birra.

E così, dopo aver viaggiato per settimane in questa nazione, pervade improvviso ma fortissimo il desiderio di Europa, di casa. Perché paradossalmente qui mi sono sentito molto poco a casa. Scrivo paradossalmente in quanto pensavo che – a parità di modello occidentale – la differenza culturale fosse più contenuta rispetto a paesi in via di sviluppo, socialisti od islamici. Oggi mi accorgo che non è affatto così e concludo citando una bella riflessione letta sul sito dei Subsonica, che curiosamente sintetizza molto bene tutto cio’, ovvero che Europa-USA, per i miei canoni, finisce irrimediabilmente 6-0 6-0.

“L'Europa....da qualche parte al di là di tutte le diffidenze su ciò che potrebbe essere e che di certo in qualche modo sarà, viene da pensare che è bello sentirsi in diritto di essere a casa. Al di là delle genuflessioni filo-atlantiche delle quali andare ben poco fieri, l'Europa è un gran posto. La modernità nasce qui e qui trova un seppure precario senso di equilibrio, al riparo, anche se non di certo al sicuro, da aspetti totalmente alienanti che pervadono società come quella americana o giapponese. Lontana dai totalitarismi dei giganti del passato o dei nascenti astri economici, l'Europa è più che mai il luogo dove la qualità della vita e senso della democrazia sono fattori endemici, difficili da sradicare. Comunque, l'idea che da Lisbona all'estremo nord ci sia un unico luogo da considerare in un certo modo casa propria, affascina eccome.”

sabato 25 agosto 2007

the hidden place


"We'll stay in a hidden place
In a hidden place
We'll live in a hidden place" cantava Bjork in un noto brano.
Così ci siamo sentiti anche noi quando siamo entrati in Antylope
Canyon.

un posto segreto e
nascosto, appunto. fuori dai principali circuiti turistici (ma non troppo...), raggiungibile solo tramite un breve (ma avventuroso!) percorso di qualche miglio per una strada sabbiosa, di una sabbia rossa come il sangue, come quella che si può trovare anche in Namibia o ad Ayers Rock.
appena entrati, il canyon ci permette di scoprire, ad ogni passo, colori, luci e contrasti di una bellezza incredibile. e la pace che circonda questo luogo (nonostante le frotte di turisti..) nasconde qualcosa di magico...

ci accompagna una guida Navajo, perchè questo piccolo, giovane canyon si trova in pieno territorio Navajo, ed è la seconda volta che incontriamo un discendente di questo fiero e orgoglioso popolo. purtroppo, ben poco è rimasto dell'immaginario del pellerossa che tutti abbiamo coltivato (anche grazie ai numerosi film western...). a cominciare dalla loro linea, non più agile e scattante come quella di un puma ma ben grassa e obesa come quella degli yankees che li hanno conquistati e sottomessi...

anche gli indiani, infatti, si sono trasformati in macchina da marketing selvaggio per i turisti, con improbabili "ciapa-ciapa" di ammenicoli e chincaglieria varia e spettacoli deprimenti e degradanti presso i lodge dove abbiamo soggiornato nel nostro giro per i parchi.

curiosamente sembrano pero' molto presi dal loro ruolo di clown per turisti e molto ansiosi di spiegarti i simboli e i significati della loro cultura.
ci siamo chiesti se quest'ansia derivi da un legame ancora forte con la loro cultura o semplicemente dalla voglia di scucirti due dollari in più.
Onestamente non siamo riusciti a darci una risposta.

Usciti dal canyon, ancora frastornati dalla sua bellezza, ci siamo trovati a strapiombo - letteralmente - su un altro luogo di suggestiva unicità.
Quel bubbone di roccia rossa intorno a cui il fiume Colorado fa la gimcana si chiama Horseshoe Bend: la zampa del cavallo.
Che ovviamente - essendo americano - è enorme.

mercoledì 22 agosto 2007

Luoghi finti e cieli veri

In un angolo polveroso della città oggi intasato di fast food e autolavaggi si scorge ancora un cartello che recita “Welcome to the fabulous Las Vegas, Nevada”, risalente ai tempi in cui Frank The Voice e Elvis The Pelvis facevano impazzire il mondo. Oggi più che a una favola – nonostante i finti castelli di Re Artù – Las Vegas assomiglia a una commedia grottesca, dove i problemi con cui noi europei siamo abituati a convivere (mancanza di spazio, di soldi e risorse energetiche) sembrano non solo dimenticati, ma completamente rivoltati come calzini.

Per apprezzare almeno per una sera la follia di questo posto in cui rivivono finzioni di Roma, Parigi, New York o Venezia bisogna lasciare nel cassetto i propri metri di giudizio estetico o morale, non farlo significherebbe arrivare ad odiarlo nel giro di cinque minuti. Eppure le contraddizioni di quest’America in cui una cosa ed il suo opposto sembrano eternamente separati come i liquori in certi cocktail sono anche qui, nel regno del business e delle slot machines.

E così si viene a scoprire che il Venetian con i proventi derivanti dal suo cocktail di gioco d’azzardo e porno-soft finanzia l’Ermitage di San Pietroburgo, per esempio. Oppure che lo Strip la notte non è solcato da fotomodelle e rapper (Tupac Shakur venne assassinato proprio qui nel 96) ma da famiglie americane di ceto medio basso, con tanto di passeggini e bambini obesi.

E così in 24 ore – diciamo 48 per i più tenaci – anche questa follia del genere umano viene a noia, il giocattolo si rompe e rimane solo lo squallore, che ci porta a esplorare altri generi di bellezze.


Come il tramonto su Zabriskie Point o ad Arches, il deserto di San Rafael e quello del Mohave.

E come d’incanto ci si sente contemporaneamente Thelma e pure Louise, al Bagdad Cafè e On The Road tutti insieme sotto un cielo che è enorme come ogni cosa in questo paese.


E si arriva a pensare che la famosa frase “bigger is better” i pionieri l’hanno pensata proprio guardando questo cielo.

martedì 21 agosto 2007

everything is so big... that you can even get lost!

già. tutto è grande in questo paese. persino un banalissimo muffin!
diventa un impresa anche trovare una confezione di latte da meno di 4 l... per non parlare delle razioni di colazione, pranzo e cena... non ci si può stupire del fatto che sia un popolo obeso!! senza considerare che si nutrono pure male: anche l'acqua dev'essere aromatizzata e avere per lo meno 4 tipi diversi di vitamine!!
ma questo è solo uno dei tanti aspetti contraddittori di un continente e di un popolo dalle mille sfaccettature.

ciononostante, le sorprese che ci sta regalando sono ogni giorno più grandi, appunto.

anche fare una piccola gita appena fuori S. Francisco, infatti, può rivelare la scoperta di un mondo a parte, con oasi incontaminate in cui i pellicani vivono tranquilli e indisturbati..


e poi... la maestosità delle sequoie, gli esseri viventi più longevi e tra i più enormi al mondo, e lo spettacolo di Yosemite...

o ancora.... lasciare le abbacinanti luci di Las Vegas per godersi il vento caldo e il tramonto a Zabriskie Point, nella Death Valley (senza più il cartello che si vedeva nell'omonimo film di Antonioni... il tempo passa anche qua..)

e ancora... i parchi del sud ovest. siamo a circa 2/3 del nostro giro tra queste meraviglie della natura e ormai abbiamo la paresi mascellare... ogni strada, ogni curva, ogni ingresso regalano scorci, panorami, cartoline per gli occhi (e per lo spirito...) che è impossibile non immortalare..
come Bryce e Red Rock Canyon, Zion, e un altro splendido tramonto ad Arches, dove perdersi diventa la cosa più facile al mondo....

giovedì 16 agosto 2007

up&down per SF


eccoci a Sanfra, o Frisco, o come volete chiamarla.. San Francisco. mitica. stupefacente. e anche lei, piena di contrasti. guardi in alto per vedere dove arrivano a toccare i grattaceli, e poi, non appena rivolgi nuovamente lo sguardo verso il basso stupefatto rimani senza parole, ma per via degli homeless (o meglio... hopeless) che sbucano fuori da ogni angolo.
anche qua, il contrasto stridente tra miseria e povertà è forte ed è quasi impossibile non notarlo.

ma poi, ti rendi conto che SF ha mille altre soprese da regalarti.
per esempio: Chinatown, una vera e propria città nella città.
o i giustamente famosissimi cable car, che ti scarrozzano in lungo e in largo per downtown, salvandoti dalle fatiche delle sue viuzze up-&-down.

o ancora, i leoni marini che sonnecchiano assieme ai pellicani nel disneyland dei turisti, il pier 39


e per ultimo... conquistare il Golden Gate bridge in bici, come promettono con lo slogan "bike the bridge"!! un'esperienza che vi consigliamo vivamente...

lunedì 13 agosto 2007

Welcome to the United States


Per qualcuno - decenni fa - varcare la porta degli Stati Uniti ha significato Ellis Island e quarantena.

Per noi molto più prosaicamente…. coda in auto.

Il grande traffico – nota comune della West Coast – e le ferree procedure doganali creano infatti code chilometriche in ingresso dal Canada e noi ne abbiamo fatto le spese.

Entrati nel grande piccolo paese (le contraddizioni qui sono di casa) abbiamo trovato casette fatiscenti e grandi praterie, barboni e jeepponi, miserie e nobiltà.


Fra le nobiltà sicuramente Seattle ci ha regalato un bel pomeriggio: lo Space Needle accostato al Museo della Fantascienza e della Musica – capolavoro di F.O. Gehry – costituiscono insieme uno scenario pazzesco, di fronte al quale abbiamo intasato le memory card delle nostre macchine fotografiche.


I due musei valgono senz’altro una visita: in entrambi i campi gli americani hanno sicuramente qualcosa da dire. Tuttavia a noi è parso che entrambi siano un po’ confusi, disorganici… insomma anche qui prevale quell’atmosfera di precarietà che più volte abbiamo osservato in questo paese.

La serata si è conclusa con una capatina al Pike Market, enorme mercato ittico e non solo di Seattle. Come dire: immaginate i mercati generali, moltiplicateli per tre (qui tutto è big) e conditeli in salsa americana, molto probabilmente sarete vicini a cio’ che Pike Market è.

Ma l’atmosfera straordinaria di un maiale con le ali al crepuscolo probabilmente si puo’ apprezzare solo venendo qua…


sabato 11 agosto 2007

Whistler e ancora un piccolo assaggio di Vancouver


La mattina è iniziata decisamente bene: sole dopo le tante nuvole di ieri, temperatura ottimale, venticello... insomma, le premesse per una bella giornata c'erano tutte, perciò di buon ora, ci siamo diretti verso Whistler, sede olimpica delle discipline montane, per riuscire a vedere un po' del panorama tipico canadese prima di rientrare negli States.
Non senza aver fatto anche un piccolo tour via car di Vancouver, e aver visto, purtroppo di corsa, una delle parti più belle della città, la baia (nella foto, la parte di English Bay, dove eravamo alloggiati).

I panorami canadesi sono esattamente come uno se li aspetta: boschi, fiumi, alberi giganteschi e questo senso di essere nel Grande Nord. Salvo poi imbattersi in paesini tanto belli quanto finti come Whistler.

Il lavori olimpici, nonostante il largo anticipo, sono ferventi. Complice il clima non certo clemente approfittano dell'estate per fare quello che metri di neve in inverno impediscono. Per esempio raddoppiare la freeway. Per noi, oltre che vedere i cantieri canadesi, questo ha significato un viaggio da odissea.


Mare-Monti (la freeway si chiama Sea to Sky), uno degli aspetti caratteristici è sicuramente il contrasto dove le montagne (nemmeno troppo alte, ma a queste latitudini la neve non manca comunque) si tuffano nel mare e così nel giro di pochi km si possono incontrare ugualmente una stazione sciistica ed una balneare (per i canadesi).

Rientro in serata su una congestionatissima Vancouver (ore di traffico) che pero' ci ha regalato scorci bellissimi della sua city al tramonto.
La serata ha poi fatto capolino in una bellissima baia notturna, stupenda vista goduta dalla terrazza di amici italiani, che non ci hanno fatto mancare gli immancabili spaghetti e persino le melanzane impanate.

Domani si torna agli hamburgher...

venerdì 10 agosto 2007

eccoci!


ci abbiamo messo un po' a tornare collegati col web, ma il nostro piccì ha qualche problemino... e comunque, mercoledì siamo arrivati a Vancouver alle 21.00 cotti dopo 12 h di volo e 4 di auto... se contate anche il jet lag, come dire.. solo oggi siamo tornati ad esser persone (quasi) normali...


ciononostante, ieri abbiamo fatto un bel giro perlustrativo della città, che è sicuramente molto bella e ricca di contrasti, soprattutto passando dal centro commerciale e finanziario (in completa ristrutturazione pre-olimpica) arrivando fino a Gastown e Chinatown, la più grande comunità asiatica del Canada e ormai anche del NordAmerica.


esiste un confine netto, infatti, tra queste 2 zone della città in cui sei costretto a passare in un quartiere che dire degradato è fargli un complimento... infatti, uno dei maggiori problemi della città è rappresentato proprio dagli homeless, che qui si trasferiscono a vivere (o meglio, sopravvivere..) poichè Vancouver ha il clima più temperato di tutto il Canada. Sandro ci confermava che uno dei principali impegni del comitato olimpico sarà proprio quello di spazzare via questa zona e cercare di ricollocare questa considerevole fetta di popolazione da qualche parte. non senza problemi e proteste politiche e sociali.

oggi ci aspetta un giro nei dintorni di Vancouver, Whistler e i siti montani.
a presto!

lunedì 6 agosto 2007

ci siamo quasi....

... va bene sentirsi una trottola, ma dopo il giro di ieri ci siam svegliati entrambi con tutti (e sottolineo tutti...) i muscoli doloranti... 550 km in moto, a zonzo per le Alpi, 13 h di tour, e meno male che la VStrommina non ci abbandona mai.. ma ne è decisamente valsa la pena, perchè anche il meteo ci ha graziato con una meravigliosa giornata di sole!

Prima tappa (doverosa, visto che già l'anno scorso eravamo andati!), colle del Gran S. Bernardo, a dare un bacio a i padroni di casa di questo colle così ricco di storia. Irresistibili!! e il panorama che si gode da qua non è niente male. Per chi volesse pernottare, c'è anche un onestissimo auberge: http://www.hotelhospice.ch/ Nella foto, il campione mondiale: ma quant'è bello!

Poi, via verso Chamonix, a goderci lo spettacolo di sua maestà il Bianco e della Mer de Glace in tutta la loro magnificenza.

E visto che ormai sono "Olympic addicted", non potevamo non fare un breve salto ad Albertville!! eccomi immortalata all'ingresso del museo olimpico.... ne sono uscita con un pin, un gadget, e anche una foto dell'accredito... sono proprio senza speranza!!




Ultima tappa, colle dell'Iseran (2764 m), che assieme ai colli del Galibier e dell'Izoard (tappe di un nostro precedente mototour...), rappresenta un must per chi si intende di vélo ed è appassionato del Tour de France....

Ora... non resta che chiudere gli zaini e prepararsi!! domani, tappa a Milano a salutare mammà, e mercoledì mattina... voliamo verso Parigi, il nostro pit stop prima di atterrare a Seattle.