mercoledì 7 gennaio 2009

Istanbul Istanbul: parte 4


E come lasciare Istanbul senza sperimentare il rito dell’hamam?? Incuriosita ma, confesso, anche un po’intimorita dai racconti di massaggi particolarmente “energici” al limite del masochismo, abbiamo scelto tra i diversi hamam della città il Suleymaniye hamami http://www.suleymaniyehamami.com/, anche convinta dal fatto che si tratta uno dei pochi hamam misti (generalmente, infatti, gli hamam erano per soli uomini – e alcuni sono rimasti fedeli a tale tradizione – ma i più si sono ormai attrezzati per essere anche femminili, seppur prevedendo entrate e locali rigorosamente separati). L’esperienza è stata più piacevole del previsto, soprattutto il massaggio, che è stato sì energico ma non doloroso, mentre divertente è stato il brush seguito dall’insaponamento e ancor di più il lavaggio! E poi… relax nella stanza dell’hararet, la vera stanza calda della sauna, e per finire… un buon çai nel sogukluk, la stanza intermedia dove fare decompressione…
Il nostro soggiorno si è concluso il 1 giorno del nuovo anno, dopo aver festeggiato l’arrivo del 2009 in maniera decisamente inconsueta… Assecondando ancora una volta la mia curiosità, abbiamo infatti assistito allo spettacolo dei dervisci rotanti (o vorticosi, a seconda della traduzione che viene fatta..) che si tiene praticamente quasi tutti i giorni presso la sala eventi attrezzata nella stazione dei treni Sirkeci (appositamente costruita per accogliere i passeggeri dell’Orient Express, che ora non esiste più mentre la stazione continua ad essere operativa). Lo spettacolo, in realtà, è l’ennesimo specchietto per le allodole per turisti: i dervisci che si vedono danzare con tanta leggerezza ed equilibrio roteando silenziosamente su sé stessi al ritmo della musica sacra (quale rappresentazione del viaggio spirituale di massima comunione con Dio), sono in realtà semplici ballerini e non monaci come si vorrebbe credere. Il sufismo, di cui i dervisci si fanno rappresentanti di una delle diverse sette (nello specifico quella dei Mevlevi), rappresenta in realtà il ramo più mistico e asceta dell’Islam che si è sviluppato soprattutto tra Afghanistan, Iran e Pakistan. Ciononostante, lo spettacolo (di 1 h circa) non è poi così malvagio, e comunque il silenzioso roteare delle ampie sottane bianche regala attimi di suggestivo e genuino trasporto…
Fuggendo dai ristoranti appositamente addobbati per l’ultimo dell’anno, abbiamo poi preferito cenare presso una timida e tipica lokanta in Alemdar Caddesi, nei pressi del palazzo Topkapi, dove eravamo quasi gli unici avventori stranieri. Timida quanto il suo gestore, un omino piccolo ma dalle mani forti e nodose di chi ha sempre lavorato sodo, strano miscuglio di razze (biondo con occhi azzurri ma dai tratti più turchi che occidentali) ma di una gentilezza quasi commovente. L’amorevole attenzione con la quale ci ha aiutato ad indossare i nostri giacconi al momento del commiato rimane uno dei ricordi più belli di questo viaggio.

Istanbul Istanbul: parte 3


Tra gli angoli più caratteristici di Istanbul, sicuramente il Kapali Carsi, o Gran Bazar, ma non certo la parte al coperto (creata più per i turisti che per i locali…), bensì il quartiere che si dirama in mille viuzze rigorosamente suddivise in “zone di acquisto”, ovvero: la via degli scarpai, quella dei venditori di abiti, quella del pellame, quella del pentolame e via così… Un’idea intelligente: ad ogni tipologia di acquisto, anche la più dettagliata, la via appositamente dedicata! Suddivisa e separata persino in articoli femminili e maschili. Un tuffo nel vero serraglio tipico dei mercati arabi, assaporando odori e profumi neanche poi così tanto lontani, per lo meno per la mia memoria… E per fare dei veri affari (occhio però quando si tratta di tappeti e tessuti costosi…), il Misir Carsisi, o mercato delle spezie (detto anche mercato egiziano), dove è possibile acquistare spezie di ogni genere, saponi e tutto quel che serve per la toeletta, caviale, lampade e ceramiche decorate, e ancora trovare qualche articolo decisamente particolare, come ad esempio un bel bottiglione pieno di sanguisughe…
Altro quartiere caratteristico (reso forse un po’ troppo turistico dal proliferare di ristorantini di ogni sorta) è il Kumkapi, nato come quartiere dei pescatori, dov’è possibile gustare dell’ottimo pesce (da acquistare direttamente ai banchi dei pescatori o in qualche ristorante, preferibilmente tra quelli sulla baia – consigliamo il Dogan Balik Restaurant in Kennedi Cad. dove ho mangiato i calamari più buoni della mia vita…) e ammirare le barche di rientro al tramonto (il cui spettacolo è oscurato solo dal profilo di qualche petroliera neppure così lontana….).
Per farsi un’idea anche dell’anima asiatica (o forse decisamente più mondana…) della città, basta attraversare il ponte Galata, uno dei 2 ponti sul Corno d’Oro (l’altro è il ponte Ataturk), di giorno pieno di pescatori che, con le loro canne da pesca, rendono ancor più suggestivo l’attraversamento. Il quartiere di Beyoglu che si dirama dalla torre Galata (avamposto dei genovesi, i primi stranieri ad arrivare fin qua…) è oggi un susseguirsi di uffici, negozi alla moda, locali, che lo hanno trasformato in un vivace quartiere commerciale. Caratteristica è Istiklal Caddesi, la via dello struscio di Istanbul, percorribile a piedi oppure a bordo di un vecchio tram che ricorda (o ricopia…) i cable car di Sanfra. E per chi vuole provare proprio tutti i mezzi di trasporto che la città offre, anche una piccola cremagliera sotterranea che consente di scendere dalla collina senza troppa fatica. A dire il vero, l’unico mezzo che non siamo riusciti a provare è il traghetto, ci sarebbe piaciuto fare un bel giro del Bosforo, ma vuol dire che dovremo tornarci apposta, magari d’estate, per godere dei magnifici tramonti che hanno reso Istanbul tanto famosa.

Istanbul Istanbul: parte 2


Il tempo, infatti, non è stato un ottimo Cicerone, ma, tutto sommato, vista la stagione, poteva andare decisamente peggio...
Abbiamo soggiornato presso il Golden Crown Hotel http://www.goldencrownhotel.com/ in Pyerloti Cad., praticamente dietro la fermata Cemberlitas del tram pubblico, in pieno quartiere di Sultanahmet. In 5 giorni, non abbiamo mai preso un taxi: dall’aeroporto, ci è bastato fare alcune fermate di metro (pulita, ordinata, puntuale) e prendere il tram per arrivare in 45 min. al nostro hotel. Il resto, lo hanno fatto i nostri piedi, ma, complice la posizione davvero strategica del nostro campo base, abbiamo girato tutta la città senza alcun problema (se non quello dell’orientamento da parte mia, perché Istanbul è l’ennesima San Francisco europea, tutto un saliscendi di viuzze e vie principali che ti fa perdere ogni tanto la direzione di dove stai andando..).
Quanto ai monumenti storici, c’è da rimanere col naso per aria per diverse ore (soprattutto per chi, come me, visitava il suo primo paese islamico e non era mai entrata in una moschea prima d’ora): la Moschea Blu, in assoluto la più bella e la più maestosa, o quella di Suleymaniye (purtroppo chiusa in parte per restauri), la chiesa di Haghia Sophia (dapprima chiesa bizantina, poi trasformata in moschea, oggi… meta di frotte di turisti… forse l’esempio più immediato di come si sia cercato, non sempre con buoni risultati, di fondere la cultura occidentale con quella orientale), o il monumentale palazzo Topkapi e le sue prestigiose collezioni (miscelando sacro e profano come si creano i rinomati mix di spezie che si acquistano nel Misir Carsisi… si possono ammirare il bastone di Mosè e il mantello di Maometto poco distanti dal famoso diamante “dei 3 cucchiai”, di ben 86 carati, e dal pugnale di Topkapi, costellato di bellissimi smeraldi). Ma in assoluto, da non perdere la Cisterna Basilica, vasta cisterna d’acqua nata come basilica bizantina sotterranea, dove ancora oggi vengono custodite riserve d’acqua (con tanto di pesci belli pasciuti…). Un posto insolito e, nonostante le orde di turisti, dall’atmosfera suggestiva e raccolta. Altro luogo dove si è riusciti a respirare un po’ più di misticismo è la chiesa dei santi Sergio e Bacco, forse perché fuori dai percorsi turistici tradizionali (ma il guardiano della chiesa non ha mancato di ricordarmi, in quanto turista e miscredente, di lasciare un lauto obolo quale ringraziamento ad Allah per aver ritrovato la mia guida, dimenticata distrattamente e recuperata dopo qualche minuto di strada…). Ma per calarsi un po’ nel vissuto religioso quotidiano basta ascoltare il singolare canto del muezzin che per ben 5 volte al dì recita i versi del Corano attraverso altoparlanti sparsi qua e là per la città..

Istanbul Istanbul: parte 1


Istanbul, Istanbul
Istanbul baluardo sacro per l' incrocio delle razze degli uomini bruciera`
Recita così, nel ritornello, una vecchia canzone dei Litfiba, Istanbul Istanbul, appunto. Il nome ripetuto 2 volte. Un po’ a sottolineare la duplice anima di questa città, a confine da sempre tra Oriente ed Occidente. E un po’ a sottolineare lo stupore e la magia che suscitano in ogni turista e in ogni viaggiatore. Non illudiamoci: la globalizzazione è arrivata anche qua, e infatti Starbucks ci ha offerto col “solo espresso” lo strappo alla tradizione del famoso caffè turco, e vari McDonald’s sbucano qua e là nelle vie più trafficate, fortunatamente mai troppo pieni… Sarà perché in fatto di street food gli arabi sono sempre stati più avanti rispetto agli infedeli americani che, in fondo, ci hanno solo messo un po’ di marketing in più… Praticamente ad ogni angolo di strada è possibile placare i morsi della fame con kebab offerto in 1000 modi diversi o con un gozleme (spuntini appetitosi a base di sfoglia di pane arrotolata e farcita con carne, formaggio o verdure). Se poi si preferisce sedersi con calma in qualche lokanta, allora si ha davvero l’imbarazzo della scelta: tra meze (antipasti) calde e fredde (tra i primi, gli ottimi boregi, i miei vecchi e amati burek… pasta sfoglia sottilissima, a diversi strati, farcita con formaggio, prosciutto o carne) e veri e propri primi piatti (le kofte – polpette – il kebab in tutti i modi possibili – sis, doner, etc. – pesce squisito e mille contorni di verdure e carne come come il karniyarik, a base di melanzane ripiene di agnello tritato, il tutto accompagnato dall’immancabile burgul), c’è da sfamarsi a dovere. Ricordandosi di lasciare sempre, però, un piccolo spazio per il dessert: la cucina turca, infatti, è famosa per i suoi dolcetti, complici silenziosi degli affari dei dentisti locali (e non…). Baklava, lokum, sutlaç, asure, sono solo alcuni dei ricchi dolci di miele, noci e pistacchi che si possono gustare a fine pasto o nelle tante pasticcerie che si incontrano per la città. Un attacco dichiarato alla salute dei nostri denti, ma come dire di no… E in ultimo, il bere. Oltre alla bevanda nazionale, l’ayran (yogurt liquido salato che non ho avuto il coraggio di assaggiare… soprattutto pasteggiando come vuole la tradizione), in Turchia, e ad Istanbul in particolare, non mancherete di trovare ovunque del buon çai, thè caldo servito in bicchieri trasparenti (i gusti più diffusi sono il turkis e l’apple), da sorseggiarsi da solo o accompagnato da qualche dolcetto, o anche solo bevuto per strada offerto da qualche venditore ambulante col suo samovar caricato sul carretto. Un ottimo compagno contro il freddo che ci ha fatto da guida durante tutta la nostra permanenza nella “città della terra di mezzo”.